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Ho iniziato la mia carriera di attrice nel 1961 grazie al mio primo film di un certo rilievo, "Il federale" di Luciano Salce, di cui Ugo era il protagonista. Lui si dimostrò subito una persona familiare, gentile e disponibile e mi proteggeva dagli eccessi di attenzione degli altri. Io gli leggevo sempre il mio diario e lui si divertiva moltissimo e diventammo subito amici. Ho ritrovato Tognazzi su un set quattro anni dopo in occasione di "Io la conoscevo bene" di Antonio Pietrangeli, di cui ero la protagonista. Ugo interpretò un numero d'attore strepitoso, quello del guitto che ballava come un forsennato in una festa rischiando l'infarto per compiacere un divo di successo ed i suoi cinici e beffardi amici del mondo del cinema: fin da quando ne fui testimone sul set capii che si trattava di una sequenza pazzesca, non ho mai visto al cinema niente di così potente, penso che meritasse l'Oscar. In seguito, nel '67, ho ritrovato Ugo quando ero un po' cresciuta sul set de "L'immorale" di Pietro Germi, la storia di un uomo che aveva una moglie, un'amante ed una ragazza molto giovane, che era l'unica a disertare il funerale, da lui immaginato e temuto. Ricordo ancora il nome del mio personaggio: Marisa Malagugini, una violinista di provincia. Poi ho lavorato molto piacevolmente accanto a lui ne "La terrazza" di Ettore Scola, su un set dove eravamo riuniti ogni giorno almeno venti attori, e ancora in "Dove vai in vacanza", nell'episodio "Sarò tutta per te", diretto da Mauro Bolognini. Nella finzione Ugo era un marito innamoratissimo che al dunque non riusciva a fare l'amore con me che interpretavo l'ex moglie di quest'uomo, una donna piuttosto dura ed energica che avrebbe dovuto cercare di scuoterlo. All'epoca ero piuttosto restia a girare scene di nudo ma capii che quella sequenza avrei potuto girarla al meglio solo con lui: non mi sono pentita. Le nostre vite e le nostre storie professionali sono andate tra noi sempre di pari passo, insomma, e la nostra era una strana amicizia senza nessun tipo di complicazione amorosa. Era meravigliosamente disponibile ed attento, mi sentivo molto amata per come mi parlava e mi sorrideva, per il modo in cui abbassava lo sguardo incrociando il mio, ma tra noi c'è stata sempre e solo una fortissima intesa, forse perché l'ho conosciuto da ragazzina: in quasi trent'anni il nostro rapporto fatto di estrema confidenza e familiarità è rimasto sempre immutato. Per me era una specie di parente, era molto paterno anche nel suo rapporto con il cibo. Ero spesso sua ospite al torneo di tennis che organizzava a Torvajanica e prima ancora nella sua casa di Velletri, dove una volta, durante una festa a cui ero andata con mio marito Nicky portando con noi nostro figlio Vito ancora molto piccolo, fummo costretti ad una fuga pazzesca alle quattro di notte. Cercavamo Ugo a fine serata per ringraziarlo e salutarlo e lo scovammo in uno degli angoli cottura presenti in ogni piano della grande villa, mentre era intento a preparare forsennatamente delle... cotiche fritte: per fortuna dovevamo davvero riaccompagnare il bambino a casa, altrimenti lui ci avrebbe "imprigionato" ancora a tavola per chissà quanto tempo. Verso la fine degli anni '80 avevo girato a Cremona un film su Stradivari diretto da Giacomo Battiato ed interpretato da Anthony Quinn e quando una volta incontrai Ugo e gli dissi quanto mi era piaciuta la sua città, dove avevo comprato per l'occasione un violino, lo trovai molto amareggiato. Quel film avrebbe tanto voluto girarlo lui, lo sentiva perfetto per le sue corde e sentiva di avere subito un'ingiustizia immeritata, come gli accedeva spesso negli ultimi tempi. |
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