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Giravo per la città fino a notte inoltrata con questa compagnia della buona morte. La mattina si dormiva sino a mezzogiorno. La domenica il tradizionale struscio. Si campava alla meglio. Il guaio era che tutti avevano bene o male un mestiere o si preparavano a farselo. Nel palazzo dove abitavo gli amici mi ripetevano, ed era sempre la stessa nenia: terminata la scuola andrò in banca. Io alla federazione, me l'ha assicurato il fiduciario. Io alla Lancia. E tu Ugo dove andrai a parare? E a quel punto facevo i pensieri più brutti che si possono immaginare. |
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Amo Cremona, la amo anche se ogni qualvolta ci torno mi trattano come se fossi l'ultimo della cordata. Incontro un tale col quale ho giocato a biliardo, ho fatto partite con la palla di pezza per le strade e gli grido "Ciao Giuà". E quello? A stento mi risponde con un "salute". Tremenda la provincia. |
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(Al Salumificio Negroni) al mattino si lavorava in una specie di rivoluzione fonica. Era che già, nei mattatoi, massacravano cinquecento bestie al giorno in un coro tremendo di muggiti. Al pomeriggio, invece, silenzio di tomba: era la fase dell'insaccamento. Quando mi mandarono via da Negroni per via delle frequenti assenze dovute alle recite per le Forze Armate andai dal fiduciario e gli dissi: guarda che quelli mi hanno sbattuto fuori. La colpa in parte è vostra. Ora che faccio? Mi misero in camicia nera e mi dettero un tavolino nell'anticamera del comando. Durò poco, non più di sei mesi. |
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Un teatro quello del Dopolavoro... Be' lasciamo correre, una vera e propria frana. Aveva le finestre che davano dritto sui binari. Quando passava l'accelerato per Cologno, Piacenza e Mantova il fabbricato tremava come fosse scoppiato il terremoto. Mentre transitava il convoglio, poiché in sala non si sentiva un accidenti, muovevo a vuoto le labbra per poi riprendere il discorso. |
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Finito il militare, andai a Milano con un bagaglio di esperienze come attore negli spettacoli per le truppe e partecipai a un concorso per dilettanti dal quale uscì trionfatore, e a cui seguì l'immediata proposta di diventare comico di varietà, di avanspettacolo. Da quel momento inizia il mio lavoro di attore, perché da quel momento diventa lavoro veramente, mi danno 150 lire al giorno, nel '44 ci potevo campare. Durante quell'ultimo anno di guerra ho fatto l'avanspettacolo fra Milano e provincia, poi... la grande occasione. Vengono due impresari a vedermi, due autori, i famosi Bracchi e D'Anzi, più Wanda Osiris, allora la regina, il massimo veramente, e mi propongono di diventare il comico della Osiris. Da quei momenti smetto di fare l'avanspettacolo e vengo ugualmente pagato in attesa del debutto con la Wanda. Sennonché finisce la guerra e quello che mi dava i soldi sparisce il giorno stesso della liberazione, quindi sparisce l'impresario e con lui anche il sogno Wanda Osiris. Però ormai ero un chiacchierato, se non altro, e così divento attore di rivista di un livello superiore, cioé passo subito allo spettacolo teatrale vero e proprio, anche perché nel dopoguerra vengono di moda tutti quegli spettacoli di rivista che avranno poi il loro apice nei lavori di Garinei e Giovannini. Dal '45, formandosi le compagnie di giro, cominciano delle cose tragiche per il lavoro dell'attore. Sarebbe bene rammentare che cosa significa per esempio viaggiare da Genova a Bari in vagone bestiame, perché non erano ancora state ripristinate le carrozze normali, per debuttare due giorni dopo, poi tre o quattro città delle Puglie, poi un salto a Palermo, altre tre o quattro città, duecento città e tre paesi toccati durante una stagione; quando a Milano si facevano 15 giorni era già un bel successo, a Roma lo stesso. |
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Il cinema mi viene proposto in un momento in cui, dopo una ennesima crisi, salta fuori un boom del cinema comico, con protagonista Totò. Si cercano un pò tutti, anche Tognazzi che, devo dire, era stato piuttosto dimenticato. Il mio primo contratto è una scrittura che mi viene proposta mentre a Roma sto lavorando in teatro e logicamente mi fa toccare il cielo con un dito. Mollo la compagnia, pago una penale, mi ricordo, allora di un milione, rimango in attesa di conferma e scopro che il film lo farà Walter Chiari: il primo che avrei dovuto fare, si chiamava "L'inafferrabile 12". Era il massimo, sapevo di avere un trampolino di lancio, che invece conquista lui. Infatti il film ha successo. Walter parte in quarta, e io rimango alle corde. Poi mi chiamano per un film dove ci sono tutti i comici: Croccolo, Billi, Piva e io intitolato "I cadetti di Guascogna", che fu un bellissimo successo commerciale. Il successo porta sempre a fare il seguito, ma confermano tutti, tranne me; dopo quel film si pensò di lasciar perdere questo Tognazzi che forse non funzionava. Contemporaneamente la televisione, qualche altro film, uno con Delia Scala e due con la Pampanini, e gli autori Age e Scarpelli. |
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Poi è arrivata la televisione che mi ha portato il successo, dei guadagni migliori. Forse è qui che è cominciata veramente la mia carriera. Ho seguito molto la televisione nel momento in cui nasceva in Italia. Sono stato un pioniere: sono molti quelli che dicono che io, con altri due o tre, sono stato un pilastro nella costruzione della televisione italiana. Il pubblico guardava principalmente tre programmi: uno dei tre era il mio. Poi è arrivato il cinema che mi ha offerto logicamente quello che il teatro non mi aveva mai dato. |
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Allora per la televisione non erano due trasmissioni, se sei un divo, erano 5 anni di lavoro. Io e Vianello siamo diventati Tognazzi e Vianello in "Un, due, tre", facendo ogni anno 12 trasmissioni e cominciando a ottenere certi risultati al terzo anno, dopodiché venne riconfermato il quarto ed il quinto. [...] "Un, due, tre" era qualcosa di più che riproporre il lavoro della rivista in televisione. [...] Come trovata la nostra era di fare una pagina umoristica di un giornale serio come la televisione. Direi di essere stato il primo a fare la televisione di costume, così come abbiamo un cinema di costume. |
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Prima di tutto è una formula che è quella che tiene in piedi quei pochi elementi interessanti che appaiono il televisione, cioé quelli che sanno usare il mezzo televisivo non con lo studio di un copioncino o di uno sketch o con la ripetizione del loro numero; vale a dire usare il mezzo televisivo con i suoi sussurri, con questo fatto confidenziale, questo non fare del teatro. La maggior parte degli attori italiani ha continuato a fare del teatro. È quello che mi dà più noia, si sente parlare come se invece che davanti al televisore fossi in un loggione a teatro, mentre invece io credo di aver inventato il sussurro comico, quel modo di divertire e far ridere come se io stessi parlando direttamente con te, cosa che non esiste in teatro. Questo come tono, come intuizione e proposta di lavoro: la televisione non è teatro e non è cinema e bisogna lavorare in un certo modo. |
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lo amo le donne, non sarei capace di farne a meno. Ti danno entusiasmo e quando anche le lasci resta dentro di te una piccola parte di loro. |
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[Credo nell'amicizia] nel modo più assoluto. L'amico è come il compagno di reggimento che in piena battaglia ti sta al fianco pronto a darti una mano. Nel cinema, a Roma? L'amico non esiste. Non l'avrai mai al fianco. Caso mai di fronte, pronto a spararti addosso. |
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[Cosè il successo?] Non lo so, lo sanno coloro che non l'hanno mai avuto. Non si fa in tempo a rendersene conto. È cosi rapido. |
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Il fatto di essere cuoco poteva anche divenire una seconda professione se il cinema non mi avesse più dato la possibilità di vivere; al di là della passione, sono molto competente in questo campo, conosco i fornelli, la cucina, le casseruole, i prodotti quasi con l'esperienza di un vero "chef". |
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Amo il mio prossimo e, in partenza, non penso mai che qualcuno mi avvicini per tirarmi colpi mancini, per ingannarmi. Vivo in una perfetta buonafede, credo a molte cose, ho fiducia nelle persone e, molte volte, mi accorgo di essermi sbagliato; sono anche un pò ingenuo. |
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Il coraggio [...] sono io che devo trovarlo come attore perché mi piace interpretare i miei personaggi. Amo il cinema non in quanto tale ma perché rappresenta la possibilità di raccontare storie che riguardano la nostra vita, i nostri problemi: mi piace inserirmi in questi problemi e analizzarli; se non lo facessi nel lavoro, mi resterebbe ben poco tempo per farlo nella mia giornata. |
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Ho notato che quando ho lavorato come un operaio disciplinato sotto la direzione di un regista, anche intelligente, è che per non avere problemi mi sono lasciato guidare dall'inizio alla fine, il film non è mai stato un grande successo, ho sempre avuto delle grandi delusioni. Per quanto mi riguarda sono convinto che devo poter dare qualcosa, sennò è inutile scegliermi. Ferreri mi lascia questo tipo di libertà ed è la condizione ideale per un attore come me. Posso interpretare disciplinatamente un personaggio come lo desidera un regista, tanto più che non ho nessun diritto e in certi casi è difficile cambiare la linea di un film; ma la mancanza di collaborazione non ha mai dato buoni risultati con me. Io sono per una libertà controllata dell'attore. |
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(Ne "L'immorale", per esempio) se Germi fosse stato più aperto nei confronti del tema trattato, se mi avesse lasciato un pò più di libertà, sarebbe potuto arrivare a un grande film anche se, così com'è, non è male e ho ricevuto dei complimenti per la mia interpretazione. Il mio personaggio era limitato. In effetti è un grande regista di attori e attrici non molto conosciuti. Ma con me, esigendo una perfetta fedeltà al testo e al suoi insegnamenti, ha realizzato un film un pò antiquato; non ha assolutamente ammesso che il personaggio potesse avere delle varianti. |
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"Venga a prendere il caffé da noi" è stato un film di grande collaborazione col regista. Lattuada mi ha chiesto di aggiungere al personaggio certi modi di essere, certi tic; lui metteva una cosa, io ne mettevo un'altra, uno scambio continuo. |
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Quando interpreto un personaggio che mi assomiglia, posso aggiungere senza difficoltà parecchi tic personali e i miei tic non sono identici a quelli degli altri; offro così al pubblico una dimensione media in cui si può riconoscere. Costruisco un personaggio identico a tutti ma che, nello stesso tempo, è Tognazzi. È un signore che cammina, si muove, ha un certo tipo di espressione quando deve rispondere a certe esigenze psicologiche o sentimentali, a certe situazioni buffe o commoventi: in quel momento, se piango, piango come piange Tognazzi nella vita e quindi, rifacendomi alla mia esperienza personale, posso aggiungere qualcosa alla costruzione del mio personaggio. Per esempio in un film che ho girato con Alberto Bevilacqua, "La Califfa", quando ero a letto ho chiesto al regista se non potevo dormire con una gamba fuori dalle coperte. Nella vita, anche se nella stanza fa molto freddo, dopo due minuti bisogna che io tiri fuori una gamba. Bevilacqua ha accettato la mia proposta: poteva essere un'invenzione e invece era una mia abitudine. |
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I film di Risi, quelli di Monicelli, altri ancora hanno una costruzione molto elaborata; all'interno di essa non si può abbattere nessuna parete, bisogna adattarsi a una costruzione molto precisa. Al contrario, in un film di Ferreri o di altri registi, si tratta di una casa all'interno della quale le pareti non sono ancora costruite: si costruisce l'appartamento come si desidera. Quando nella sceneggiatura è previsto tutto, quando si è definito un certo tipo di costruzione e questa costruzione è buona, è inutile cercare di andare oltre: si è meno incitati a fare di più e meglio. |
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Normalmente, quando creo un personaggio, non faccio mai riferimento a una persona che ho osservato. Non ne sarei neanche capace, non me ne ricorderei. Imitare qualcuno, parlo come questo, mi comporto come quello mi riuscirebbe difficilmente. Mi darebbe l'impressione di imitare e di limitare così la costruzione del personaggio. |
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In alcuni film (da me interpretati) il personaggio era addirittura dentro di me o per lo meno mi era sottobraccio. In altri, invece, personaggi ugualmente interessanti diventavano una composizione perché non mi appartenevano e allora era una scoperta, un'analisi di certi esempi di tipologia umana che erano lontanissimi da ciò che era la mia vita privata, le mie abitudini, ai fini di una costruzione interpretativa che risultasse la più approfondita possibile. |
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Mediocrità e materialismo |
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Ciò che amo di più nel cinema, è la possibilità di analizzare, attraverso i miei personaggi, la mediocrità dell'uomo. Io riconosco a me stesso molte caratteristiche della mediocrità, non tutte naturalmente; Così le mie, unite a quelle due o tre che figurano permanentemente nel personaggio (di Emerenziano Paronzini nel film di Lattuada, "Venga a prendere il caffè da noi"), hanno fornito una sorta di annuario, di glossario della mediocrità umana. Sono sensibile alla mediocrità degli altri, questo mi è sempre servito quando ero attore comico di rivista: il mio personaggio aveva origine sempre nell'osservazione della mediocrità della vita e quindi degli uomini. |
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Di fronte al compiacimento del difetto, l'arrangiarsi e la grande furberia che erano le caratteristiche del personaggi di Sordi per esempio, io contrapponevo una ricerca personale ma che mi era in un certo senso "consegnata" attraverso le sceneggiature su un personaggio a volte sprovveduto, anche cinico, materialista e in certi casi persino volgare, se vogliamo, ma che all'interno delle storie ha sempre avuto da parte mia non una giustificazione ma piuttosto un momento di attenzione psicologica. Nei miei personaggi non c'è un reale pentimento ma c'è la desolazione, la disperazione in certi casi, e comunque un rimanere attonito di fronte alla manifestazione dei propri difetti. |
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Come regista, non credo che diventerò mai un genio, se no lo avrei rivelato sin dal primo film. Mi manca l'invenzione folle, quel minimo talento un pò pazzo che trovo indispensabile per il mestiere di regista. [...] non ritengo di essere fra i registi di talento; diciamo che sono capace di dirigere un film, l'ho dimostrato, e anche con qualche ambizione. Ho tratto da questo lavoro molte soddisfazioni ma tutto ciò non è paragonabile con quello che posso ottenere come attore. Come regista, si possono fare mille riserve nei miei confronti, io stesso le faccio del resto. Per di più, per dedicarmi solo alla regia, avrei dovuto abbandonare il mio lavoro di attore, e non ci tengo; preferisco essere un attore e dirigere un film ogni due o tre anni. Questo mi diverte molto. |
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Con "Il federale" mi sembrò in quel momento di poter scoprire la strada giusta per iniziare quasi un nuovo mestiere. Quel film mi fece capire che fare un film poteva essere qualcosa di diverso dallo sfruttare una celebrità teatrale o televisiva, e per quanto io abbia un grosso rispetto per il cinema d'evasione, mi dava la possibilità di constatare che per continuare a fare cinema avrei dovuto cercare e proporre personaggi più a modo mio, più sommessi, non basati su delle caratterizzazioni violente. Soprattutto mi aveva reso conscio di non essere una vera e propria maschera. |
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Ho fatto tre film con lui. I rapporti sono difficili. Credo che ci vorrebbe una vita per stabilire un rapporto di amicizia con Gassman, forse bisognerebbe restare con lui dalla mattina alla sera. Detto questo, e in particolare per i primi due film durante i quali aveva certi problemi personali, i nostri rapporti sono stati abbastanza interessanti. Lo conoscevo come un individuo dal carattere un pò difficile: con me, però, ha stabilito un rapporto umano; questo mi ha fatto piacere, perché era simpatico e sorprendente. In fondo Gassman mi utilizzava per sfogare i suoi problemi. Normalmente non si confidava, era un uomo che tiene per sé le cose. Ho scoperto degli aspetti di Gassman sconosciuti agli altri. Per la maggior parte della gente, i suoi amici e il pubblico, Gassman è un personaggio un pò distaccato, legato ai vecchi schemi dell'attore classico. In realtà è un uomo come tanti altri, con i suoi problemi come tutti. |
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La critica italiana ha poca dimestichezza con il cinema brillante, il cinema che diverte, e quindi ha avuto sempre un giudizio diminutivo nei suoi confronti; adesso sta cambiando ma dietro le sollecitazioni di un Woody Allen, dietro cioé degli esempi stranieri, dimenticando che ci sono stati dei film italiani altrettanto validi: un aggiornamento, quindi, ma sempre con ritardo. Per quanto mi riguarda so di non aver mai ricevuto un giudizio esatto nei miei confronti; sono stato considerato un attore promettente quando avevo ormai superato i quarantacinque anni e il massimo riconoscimento che ho ottenuto è stato quello di essere considerato in forma come fossi un giocatore di calcio. I francesi non fanno distinzioni tra film brillante e film drammatico e hanno in gran considerazione l'attore comico, forse per delle loro tradizioni più teatrali che cinematografiche. |
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È davvero deprimente constatare che il pubblico preferisce un lavoro brutto. È curioso dirsi: è possibile che la gente apprezzi di più una cosa mediocre, brutta, vecchia, riscaldata, una ricetta trita e ritrita, dei temi vecchi. Invece, quando una cosa comincia a raggiungere la bellezza, e per bellezza intendo la ricerca di un tema nuovo, l'analisi di un piccolo problema anche se poi non è importantissimo, il pubblico dà l'impressione di fare un grande sforzo e comincia a dire sì solo quando questo stesso problema è diventato vecchio o è un'imitazione della cosa originale. È questo che oggi mi preoccupa. |
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Gli italiani e la politica |
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Credo che in Italia la gente non si preoccupi veramente della politica. La nazione è per certi versi fortemente politicizzata, viviamo in un'atmosfera politica ma, a mio parere, gli italiani sono ancora indifferenti nei confronti della politica in senso proprio. Per esempio, gli operai lottano per la loro condizione, ma si tratta più di una politica a livello sindacale che di una politica di carattere generate. |
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Credo che le fonti (della commedia all'italiana) siano proprio reperibili nel neorealismo: da questo modo di guardare con la macchina da presa una strada vera, delle persone reali e che da questo ci sia stato un passaggio anche per gli aspetti psicologici dei personaggi. "Guardie e ladri" ne è un esempio: un film all'aria aperta con una vicenda che riguarda la psicologia di certe cose tipicamente nostre, italiane. La commedia all'italiana fece propria l'abitudine di girare in ambienti veri, il che portò, oltre che a un'aderenza totale alla realtà, anche a una praticità ed economicità che gli studi non offrivano. Bisogna dire poi che il fatto di essere inseriti in un ambiente reale non poteva che giovare alla recitazione. |
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Difetti, miseria e indulgenza |
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Gli anni del boom hanno coinciso con la stagione migliore della commedia all'itallana, perché quando si sta bene, detto tra virgolette perché il boom era inteso come tale, è più facile scorgere le cose misere che ci appartengono e quindi guardare con indulgenza, in qualche caso, ma comunque con distacco ai nostri difetti e giocare su questo tema. Quando l'aspetto della vita diventa più pesante, più drammatico ecco che è più difficile riderci sopra. |
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Ci tenevo a fare "Il viaggio di Mastorna", per me Fellini era veramente una bella tappa [...] Una volta Fellini mi mandò addirittura dei maghi che avrebbero dovuto riferirgli le loro impressioni su di me [...] Nonostante mi avesse scritturato, c'era qualcosa che non lo convinceva [...] Andai da Fellini e gli domandai: "Senti, tu me lo devi dire se faccio o no il film, perché ormai io l'ho detto a mio padre!" [...] Rispose: "Ma sai, adesso mi è venuto in mente forse un film con tanti protagonisti... A me non dispiace il dispettino che ho fatto a Fellini, quando Polidoro e Bini [...] fecero il loro Satyricon prima del suo, in un mese [...] Mi proposero con una certa malizia di lavorarci e accettai. |
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