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Purché si fugga la ripetizione, l'iterazione, la prevedibilità, la monotonia. Non c'é pericolo al mondo che tema maggiormente. Tutta la mia vita é stata un gioco a rimpiattino con il già visto e il già provato. |
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Io provo, lo ammetto, quel gusto vagamente sadico della ricerca che mi spinge a scandagliare soggetti, o argomenti, o figure che non assomigliano mai ai precedenti. Non voglio citare colleghi che peraltro tutti conosciamo, ma non sopporterei di ripetere sempre lo stesso film, probabilmente perché non ho creato una maschera fissa, un repertorio riconoscibile a prima vista. |
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Sarebbe tanto semplice, invece, affidarsi al mestiere, a una tecnica verificata in... quanti anni? Trenta, trentacinque... di professione. |
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Avendo esordito a una serata del debuttante... al teatro Puccini di Milano nel 1945... e avendo proseguito, dignitosamente oserei sostenere, nella rivista, ho sottomano un bagaglio di mosse, gestacci, tic, debolezze, colpi di scena, battute, cui attingere. Ma preferisco dosarlo, inserirlo qua e là, puntellando con qualche libera variazione i ruoli, senza rovesciare indiscriminatamente la mia esperienza sulla parte. È una questione di misura, di equilibrio. Eccitare la risata... questa azione liberatoria che si ottiene solo con la vis comica, mentre il silenzio si impone anche con la prepotenza ma soverchiando il pubblico... muovere al riso senza debordare, senza perdere certe sostanze, certi succhi che aggiungono credibilità ai ritratti che abbozzo, è l'impegno costante del mio lavoro. Sottolineando lo spunto commovente, la nota patetica, l'umanità più profonda e segreta dei personaggi per trasformarli in amici. Per suscitare, se occorre, un'impressione di pena. Per scatenare, se occorre, un senso di tenerezza. |
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Un esempio? Ecco, io me ne sto qui a parlare; e non penso a calarmi nel personaggio, non mi concentro, non mi isolo. È un metodo che rispetto, ma che non ho mai adottato, che non mi appartiene. Mi preoccuperei di non presentarmi completamente sprovveduto giusto se dovessi affrontare una scena lunghissima, con un dialogo articolato, ma per una ripresa normale... Arrivo persino ad ammettere che, se il regista me lo concede, al momento della prova accenno soltanto per controllare posizioni e luci, ma non recito perché cinque minuti dopo proporrei una copia sbiadita. E non riuscirei mai a capire se sono riuscito a inventare di getto quell'espressione particolare, a cogliere quella sfumatura speciale, a costruire quera frazione insolita di atmosfera... |
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Un'eredità del teatro, senza dubbio. Dove mi muovevo nel mistero fino al giomo delle prove generali anche perché, recitando in doppiopetto, senza trucchi, senza gag e balbuzie programmata, alimentavo il dubbio di essere squallidissimo. Poi, la sera della prima, scattavano molle impreviste: la responsabilità, l'impegno, l'emozione di uscire sul palcoscenico e sottoporsi al giudizio vero, immediato, superando le prove che sono un semplice allenamento, una sorta di teoria tutta da dimostrare. Così continuo a sorprendermi, a procedere di scoperta in scoperta, senza sapere che cosa dirò ora per ora lungo i prossimi due mesi. È la mia ricetta personale contro la noia. |
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Cosa mi sarà venuto in mente? Fare i "Sei personaggi" di Pirandello, e in francese, e alla Comédie Franqaise? Nel tempio del teatro con la parrucca? Capisce, io devo recitare in francese, per di più in un francese coltissimo, letterario. Come farò a dire i piccoli monologhi (oddio, per me sono lunghissimi, eterni) che questo signore, mezzo filosofo e mezzo Freud, riesce a imbastire su una sola parola? Se sbaglio sono rovinato. Se incespico, se cado sull'eccezione linguistica... perché, sia chiaro, questo testo che faccio fatica a capire quando me lo ripeto in italiano è tutto un'eccezione. È una specie di tesi di laurea, che se uno riesce a dirla tutta d'un fiato, be', io credo che gli danno subito il 110 e lode. È un dottorato in francese. |
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Confessiamolo! Di Pirandello io non ho mai visto niente. Ma proprio niente. |
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Intanto ancora mi chiedo perché mai avrò accettato di sottopormi a una sgobbata simile: tre mesi di lavoro da bestia per recitare in palcoscenico al massimo un mesetto. Poi la fatica di ricordare un testo così lungo e complesso, io che di memoria non ne ho, col rischio di scivolare malamente su un terreno che non è il mio. Tutta colpa del fatto che quando Giorgio Strehler mi propose a Vincent e mi chiamarono per offrirmi la parte, io non ero in Italia; il messaggio me l'hanno dato con un mese di ritardo. Quando sembrò che ormai l'occasione mi fosse sfuggita ci rimasi così male da volerla riacciuffare a tutti i costi. |
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Perché fare Pirandello già per qualsiasi attore di teatro é un bel fiore all'occhiello, figuriamoci per uno che ha fatto "Il federale" o "Il petomane". |
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Sono un Ariete, il segno del principio. Nelle cose mi butto a testa bassa, accettando la sfida, pronto a puntare tutto sperando di vincere. Poi strada facendo saltan fuori le difficoltà, i ripensamenti, quando però è ormai troppo tardi per tiranni indietro. No, l'oroscopo non c'entra. Non ci credo mica, lo leggo solo quando sono innamorato. Se si tratta di lavoro, invece davanti all'occasione di sperimentarmi, di dimostrare nell'incontro con un regista più colto di me o con un personaggio più impegnativo del solito che sono bravo anch'io, non mi tiro indietro. Per vanità, per ambizione... Seppure quest'ambizione qualche volta l'ho scontata sul piano commerciale. |
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Sono convinto che Pirandello si è divertito a lasciare incompiuto questo dramma familiare. Vorrei poterlo chiamare a testimone! E poi, via, a sessant'anni di distanza le tinte fosche della tragedia si colorano un pò di farsa. Solo la madre è tragica. Ma il padre é anche brillante, la figliastra che lo insulta, lo fa con ironia, con sarcasmo. Ma cos'ha di drammatico quest'uomo maturo che scoperebbe volentieri una bella ragazza giovane, che per di più non sa neanche che è la figlia della moglie? Il 90 per cento degli uomini in platea una situazione simile o l'ha vissuta o gliela invidia. |
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Chi, intellettuale io? Ma se non leggo mai un libro! Sono avido consumatore solo di giornali. E poi mi sembra che i ragionamenti di questo padre non siano altamente intellettuali. Un intellettualismo da cucina, come si dice in teatro. Le sue analisi certo erano nuove, anticipatrici, allora, nel '21. Ma oggi... Credo che il personaggio mi assomigli, proprio perché è un uomo normale, che cerca di giustificare i suoi errori dicendo che era in buona fede, che nasconde le sue debolezze, le sue paure, con dei bei gesti. Come quando lascia andare la moglie con il suo segretario. Vai e sii felice, le dice con generosità. Atteggiamento nobilissimo ma dietro si nasconde il terrore di scoprire che la mogliettina le corna gliele ha forse già messe. |
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Anni fa ero innamorato di una signora che forse, ma l'ho capito dopo, sentiva un pò il fastidio della mia sicurezza, il peso del mio successo. Avevo deciso di costruire un nido per lei, in cui vivere insieme. Mi affidai a un architetto, amico mio. Durante una mia assenza per lavoro i due cominciarono a vedersi, a parlare della casa, a frequentarsi. Anche l'architetto si sentiva "sotto" in quel momento: la sua donna lo aveva lasciato. La mia si sentiva soffocata da me e così, scegliendo un cretonne e una piastrella han preso aria insieme... Quando ho scoperto il flirt, dopo la prima reazione non dico violenta, ma insomma che sfido chiunque a non avere, il gran gesto l'ho fatto anch'io, proprio come il padre dei "Sei personaggi". Ma sotto sotto, come mi bruciava! |
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A volte ho la sensazione di essere miglior attore nella vita che sullo schermo. Perché? Lo confesso, niente mi pesa più della prevedibilità, del fare e fare e fare infinite volte una scena, tentando di compiacere un desiderio arcano del regista, il quale vede la necessità di ripeterla fino all'istante in cui si convince che sì, è esattamente come immaginava. Come "doveva essere". Quanto a me, l'unico piacere, dopo centocinquanta film, è l'imprevedibilità, l'invenzione ingegnosa un secondo prima del disastro, il vagabondaggio. |
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Oggi qui, in via Tiburtina, tra una settimana in Val di Susa, tra un mese in Turchia. Mi piacciono il viaggio, l'albergo, la fisionomia di una città o di un Paese ancora sconosciuti, gli incontri. L'imprevisto che finisce con il riempire la giornata anche se non si tratta di piacevolezze. Coltivando la saggia teoria della scarpa stretta per il sollievo di sfilarla, sono del parere che un giorno non debba necessariamente essere tutto felice, tutto stupendo. Basta che non sia uguale a quello che l'ha preceduto. |
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Perché la fine si avvicina quando uno si ripiega, smette di incuriosirsi, di ridere, di amare. Le donne, il Barolo, le fragole, i lamponi, i fagiani... Tutto serve a tenere lontano l'inevitabile. I sensi devono essere sempre svegli se si vuole svegliare il resto... |
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L'età non perdona. Quest' età che tenta di appannare le forze, che ti segna con le rughe, che mena fendenti a tradimento, ma che non riesce a maturarmi. Grazie a Dio, pretendo ancora da me esplosioni di energia che non dovrebbero più appartenermi, sotto qualsiasi punto di vista, e di cui mi compiaccio. Non mi importa, salendo quattro rampe di scale, di ansimare un pò più vistosamente oggi, a sessantunanni, di quando ne contavo trenta, mentre mi importa, questo sì diamine, di saper reagire con prontezza in altri, più delicati frangenti. |
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Non per vanità, no. Per bisogno di sopravvivenza. Per constatare che non sono ancora entrato in quell'era nebulosa dove non conti, non hai valore, sei indifferente perché non sei più in grado di procreare. Quindi, per quel che ti riguarda, la vita non continua. |
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L'altezza della situazione |
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Oddio, finché sei all'altezza della situazione, l'avvenimento assume un altro significato. Anche il piacere spicciolo, che persiste ed è notevole, si anima di una possibilità ulteriore. Perché è questo a rendere vive le persone. A farle vivere, letteralmente. E poi, che sberleffo l'età. Che imbroglio. A volte provo reazioni infantili, che mi coprono di ridicolo e nello stesso tempo mi consolano. |
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Comunque, nella mia carriera, che è lunga, che è sempre stata proiettata verso l'alto, senza cadute vertiginose da recuperare prostituendomi, in questa carriera che ho salito di slancio, gradino per gradino, rimane un rimpianto. A un certo pianerottolo ho incontrato Federico Fellini e il suo Viaggio di G. Mastorna. Che voleva realizzare con me, che non ha realizzato, che forse non realizzera mai, di cui magari si è dimenticato. Per me invece era una tappa importante, coronava mille sogni, compreso quello di annunciare a mio padre: giro un film con Fellini. E magari di pavoneggiarmi a Cremona, mio paese natale. Perché poi in fondo, a ben pensarci, era tutto lì. |
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Chi oserebbe definirmi vecchio, incasellarmi in questa triste categoria? Ho la gastrite, è vero, ma mi accompagna con fedeltà da vent'anni. Dovrei smettere di fumare... In questa stagione mi abbatte il colpo della strega, ma non è proprio una novità. Se non persistessi nel dormire a schiena scoperta; nel gettare ai quattro angoli le lenzuola... Evidentemente non voglio morire di vecchiaia. Troppo faticoso. |
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Però mi seccherebbe in ogni caso. Morire, intendo. Lascerei le cose a metà, propositi, idee, anche se io non sono uno di quelli che nascondono un progetto nel cassetto per tutta la vita. |
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Per questo fino al momento definitivo preferisco occuparmi d'altro. |
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