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BIOGRAFIA
  - DICONO DI LUI / Bernardo Bertolucci
 
     
 
     
 
Bernardo Bertolucci  

Conversazione con
BERNARDO BERTOLUCCI

 
 
     
  Avevo scritto "La tragedia di un uomo ridicolo" pensando direttamente a Tognazzi, che per me era una specie di icona padana: una volta gli dissi che lo trovavo simile ad una di quelle sculture romaniche che si vedono fuori da ogni duomo in Emilia e che lo immaginavo immobile con la neve che lo ricopriva interamente. Credo che sia stato decisivo per lui il fatto di aver potuto iniziare a lavorare in teatro con la rivista, nella migliore tradizione brechtiana: l'esperienza nell'avanspettacolo gli ha dato una conoscenza quasi fisica del pubblico e delle sue reazioni e poi allo stesso tempo gli ha evitato una preparazione eccessivamente psicologica, come capita spesso agli attori che studiano in scuole importanti. Due sue grandi doti erano il distacco e l'equilibrio, riusciva ad essere totalmente reale senza cadere mai in un eccessivo naturalismo, ma conservando sempre una grande verità. Aveva una grande umanità ed una grande gioia di vivere, ma anche una tendenza alla solitudine ed alla malinconia che lo avvolgeva fin da quando girammo il nostro film che era in pratica tutto sulle sue spalle: alla fine delle riprese mi resi conto che il nostro progetto era molto più difficile e complesso di quello che pensassi, perchè all'inizio la mia intenzione era quella di privilegiare un tono minore. Grazie alla sua interpretazione de "La tragedia di un uomo ridicolo" Ugo vinse meritatamente la Palma d'oro come migliore attore al Festival di Cannes e quando fu informato del premio fu preso da una specie di timidezza che nasce quando ci sono grandi riconoscimenti: ne era come intimidito, ma naturalmente anche molto fiero ed orgoglioso, immaginando che questo riconoscimento avrebbe finalmente spazzato via l'idea che fosse un attore solo comico e quindi superficiale. Aveva conservato una specie di complesso di inferiorità che forse gli veniva dall'esperienza dell'avanspettacolo che si ostinava, a torto, a considerare poco nobile: in realtà Ugo è stato uno dei più grandi attori con cui io abbia mai lavorato. Era anche un uomo estremamente piacevole e generoso: in occasione delle riprese aveva preso una villa vicino a Parma dove quasi ogni week-end invitava tutti noi e ci faceva da mangiare. Una volta, in occasione di una scena che prevedeva su uno sfondo qualcuno che sparava ad un fagiano avevamo, ripetuto le riprese per una decina di volte e lui alla fine chiese di avere per sé i diversi fagiani utilizzati. Li mise a frollare e il sabato successivo ci invitò tutti a mangiarli da lui ma al momento in cui arrivarono in tavola Ugo ci sembrò troppo preoccupato del risultato e così ognuno di noi cercava di nascondere la propria porzione ovunque pur di non deludere le sue aspettative... Ricordo con commozione anche la sua straordinaria generosità nel lavoro: quando uno degli interpreti del film, il bravissimo e compianto Victor Cavallo all'inizio delle riprese fu preso da una sorta di attacco di panico, Ugo lo mise subito a suo agio dicendogli: "Cavallo, tu sei un fantino che monta se stesso!".  
     
 
     
   
   
 
 
 
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