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BIOGRAFIA
  - DICONO DI LUI / Coro della piccola città
 
     
 
     
 

Conversazione con
CORO DELLA PICCOLA CITTA'

 
 
     
  La sorella. Era così timido Ugo da bambino. E così bello: portava i capelli lunghi e la frangetta sulla fronte. In tutti i posti dove abbiamo vissuto da piccoli, Bergamo, Bassano del Grappa, Vicenza, Verona e Milano, sempre quando andavamo a spasso la mamma, Ugo e io, la gente per la strada si incantava a guardare mio fratello. «Ma che bella bambina!», gli dicevano, sa, per via di quei capelli lunghi. Oh, lui non rispondeva mai a nessuno. Diventava tutto rosso, poi si nascondeva dietro la sottana della mamma. Lui non parlava mai con nessuno. Solo alla mamma raccontava tutto. Quando prendeva un brutto voto a scuola, per esempio, correva subito da lei. «Mamma, è andata male anche oggi, sai», le diceva. «Facciamo come ieri, eh? Non ne parliamo al papà, dai.» Sì, del papà aveva un po' paura. Sa, nostro padre lavorava tutto il giorno, faceva l'assicuratore, la sera era sempre stanco, parlava poco con noi: così, sia Ugo che io non avevamo confidenza con lui, anzi, un po', lo temevamo.  
     
  Una vicina di casa. Faceva la seconda elementare quando venne ad abitare qui [a Cremona]. Era un demonietto: passava tutto il giorno in cortile a giocare a pallone. Studiava poco, proprio poco. «Che devo fare, signora cara?», mi diceva sempre sua madre che era mia buona amica. «Tenerlo chiuso in casa? un bambino così vivace: ha bisogno di aria, di giocare. Vedrà, quando sarà più grande la voglia di studiare gli verrà.» Ohi, la signora Tognazzi gli dava fin troppa libertà, gli lasciava fare tutto quello che voleva. In cambio, pretendeva soltanto che la domenica andasse a fare il chierichetto, a servire messa. «Mi piacerebbe tanto che diventasse un buon sacerdote», mi diceva. «Ma non mi sembra che ne abbia molta voglia. Io, sì, gli insegno tante belle preghiere, ma lui poi le dimentica subito».  
     
  Un amico. Sergio Cappelli «Altro che sacerdote! Ugo la sapeva lunga. Fu il primo della compagnia a imparare a fumare. E portava le sigarette a tutti. Sa, lui di soldi in tasca ne aveva sempre. La mamma non gli faceva mancare proprio niente».  
     
  La vicina di casa. Poi, il signor Tognazzi, il papà di Ugo, si ammalò. Accadde all'improvviso. Era una brutta malattia della mente la sua, i medici non sapevano proprio che fare, decisero di rinchiuderlo in una casa di cura. Poveretto, rimase là dentro pi di dieci anni. E intanto la moglie e i figli tiravano avanti come potevano. Finirono i bei tempi. Soldi ne avevano pochissimi, in quella casa avevano bisogno di tutto. «Signora De Chiara» veniva a dirmi Ugo, «ce la dà un po' di legna? La nostra è finita, sa, fa molto freddo». La signora Tognazzi accettava tutto dalla gente del quartiere: calze e vestiti rotti, camicie per i bambini. No, non si vergognava. Anzi, non perse mai il buonumore. «Passerà pure questo momento, no?», diceva. «E allora perché prendersela?» Era una donna molto buona, simpatica, le volevamo tutti molto bene nel quartiere. E l'aiutavamo. Ma, a dire la verità, anche i parenti di Milano l'aiutavano molto.  
     
  La zia Olga, moglie del fratello del padre di Ugo. Noi non abbiamo avuto figli. Così ci affezionammo a Ugo e a sua sorella Ines. Li abbiamo considerati sempre figli nostri. Certo, con il marito in ospedale, mia cognata non ce la faceva proprio a tirare avanti la baracca. Lei non ci ha chiesto mai niente, per la verità. Ma noi sapevamo che aveva bisogno di tutto. E quel che potevamo darle glielo davamo.  
     
  La vicina di casa. Una sola volta vidi la signora Tognazzi veramente disperata. Vede, Ugo, ogni giorno alle quattro in punto, lasciava gli amici in cortile e correva in casa gridando: «Mamma, la merenda». Faceva salti mortali la signora Tognazzi per preparare quella merenda: a mezzogiorno spesso saltava il pasto per poter dare da mangiare a Ugo il pomeriggio. Un giorno non aveva proprio niente in casa. Alle tre e mezzo venne in casa mia, mi chiese un po' di pane, qualcosa. «Mi dispiace, signora, non mi è avanzato proprio niente», dissi. Lei si mise a piangere. Proprio in quel momento arrivò Ugo. «Mamma, la merenda», gridò. «Non c'è, non c'è», rispose sua madre. E gli diede uno schiaffo. Ugo si mise a piangere, lei lo abbracciò, gli diede un bacio, disse: «Tesoro mio, la mamma non voleva farti male. Torna a giocare». «Io non ho più voglia di giocare», rispose Ugo. «Ho quattordici anni. Devo incominciare a lavorare».  
     
  La sorella. No, la mamma non volle mandarlo a lavorare. Voleva che finisse gli studi. Ma lui aveva poca voglia di andare a scuola. «Non mi serve studiare», diceva. «Tanto, un giorno farò l'attore.» La mania di recitare gli era venuta quando il parroco organizzò uno spettacolo nel teatro della chiesa. Ugo vi prese parte insieme con altri ragazzi del quartiere. Si divertì moltissimo. E da quel giorno incominciò lui stesso a organizzare con gli amici degli spettacoli.  
     
  L'amico Sergio. Poi, a sedici anni, prese la prima cotta. Una cotta terribile. Si innamorò di una ragazza stupenda, la più bella di Cremona. Uscivano sempre insieme, il pomeriggio passeggiavano sul corso mano nella mano, stavano sempre per conto loro. Noi un po' lo invidiavamo Ugo. «Bruttino com'è», dicevamo, «guarda che bella ragazza porta a spasso.» Lei gli fece dimenticare proprio tutto: gli amici, la scuola e perfino gli spettacoli.  
     
  La sorella. Ogni sera, quando tornava a casa, diceva alla mamma: «Quella ragazza mi vuole proprio bene. Me l'ha detto anche oggi. E io la voglio sposare». Oh, la mamma si arrabbiava. Diceva: «Tu hai solo sedici anni, devi farti una posizione. Non devi pensare a queste cose. Dai ascolto alla mamma, come facevi da bambino. La mamma ti consiglia bene, vedrai».  
     
  L'amico Sergio. Ma Ugo niente. Era cotto da far paura. Non volle più andare a scuola, disse che doveva farsi una posizione al più presto. E si fece assumere come impiegato al salumificio Negroni. Ma, poveretto, non era proprio il tipo da fare l'impiegato. A lui piaceva raccontare le barzellette, imitare la voce degli attori celebri, insomma far divertire gli amici. In ufficio, con tutti quei capi che gli davano ordini, si sentiva un prigioniero. E una sera venne al caffè e disse: «Mi hanno licenziato». «Perché, che hai fatto, Ugo?» «Stavo raccontando una storiellina agli amici, ho fatto un pernacchio. Proprio in quel momento è entrato il capoufficio: ha creduto che ce l'avessi con lui e mi ha sbattuto fuori.» Da quel giorno si mise di nuovo a organizzare spettacolini. Devo proprio dire che ci sapeva fare. Aveva un successo clamoroso: il suo forte erano le barzellette e le imitazioni. Solo che non guadagnava neanche una lira. Ma lui diceva: «A che mi serve il denaro? Sono innamorato, so far divertire la gente, è sufficiente, no?». Effettivamente era in gamba. La sera al caffè ci teneva svegli fin oltre mezzanotte: sapeva fare le imitazioni di tutte le persone di Cremona, che spasso! Se poi arrivava qualcuno che lo interrompeva raccontando altre cose, lui stava zitto per un po', e, dopo, con una bella battuta riusciva a richiamare ancora l'attenzione su di sé. Guai se non era al centro dell'attenzione. Una sera, ricordo, venne al caffè un ragazzo di Cremona che si era trasferito da tempo a Milano. Non lo vedevamo da mesi, logico quindi che gli facessimo mille domande. Ugo si alzò e disse: «Scusate, stasera devo andare a casa presto». Proprio lui che voleva stare sempre in piedi fino all'alba. Era una lite ogni volta che noi lasciavamo il caffè per andare a dormire. «Ma dai, state qui ancora un po', è presto», diceva. E noi: «Tua madre domani ti lascia dormire fino a mezzogiorno, ma i nostri genitori la mattina ci sbattono giù dal letto. E se torniamo tardi, le buschiamo».  
     
  La sorella. Guai a fare dei rumori la mattina, in casa. «Silenzio», mormorava la mamma. «Ugo sta dormendo, sai, ieri sera ha fatto tardi.» Dicevo io: «Potresti anche dirgli di ritornare prima, no?». «Lascialo fare, povero Ugo. È così giovane. Ha bisogno di divertirsi. E poi, almeno, può darsi che stando con gli amici dimentichi la ragazza, gli passi la voglia di sposarsi così in fretta.»  
     
  L'amico Sergio. Invece era sempre innamorato. Solo che un bel giorno la ragazza lo piantò. «Non te la prendere, Ugo», gli dicemmo la sera al caffè. «Doveva succedere prima o poi. Lei è una brava ragazza. Non può continuare a stare con uno come te che vive alla giornata. Insomma, tu pensi solo a raccontare barzellette. E alla posizione non ci pensi?»  
     
  La vicina di casa. Per una settimana Ugo non uscì più di casa: restava a letto tutto il giorno. La mamma era disperata, mi diceva: «Che devo fare? Quel ragazzo farà qualche sciocchezza. Mi ha detto che vuole buttarsi gi dal balcone. Lei capisce, non posso più lasciarlo solo in casa».  
     
  La sorella. Invece gli passò presto e ritornò a fare la sua vita disordinata: di giorno organizzava i suoi spettacoli, la sera la passava al caffè con gli amici. Tornava a casa sempre più tardi e ogni volta svegliava la mamma per raccontarle tutto quel che aveva fatto. Non nascondeva niente, nemmeno le sue avventure con le donne. Una sera fu il colmo. «Mamma, sai quella brunetta... Mi faceva il filo da una settimana», disse. «Insomma, l'ho invitata fuori e lei mi ha portato in casa sua.» E la mamma invece di sgridarlo, diamine, rimase ad ascoltarlo tutta orgogliosa. «Buonanotte», disse lui. «Domani la vedo ancora e ti racconterò il seguito.» Ma la sera dopo aveva già da raccontare una nuova avventura.  
     
  L'amico. Vi assicuro che non era affatto bello Ugo da giovane. Anzi era magro come un'acciuga, insignificante. Eppure aveva un sacco di donne: ogni settimana una nuova. Lui non si innamorava mai. «da stupidi innamorarsi», diceva. «più divertente cambiare. Come si può pretendere che una donna ti voglia bene per tutta la vita? Ecco, solo una donna è capace di un affetto costante per un uomo: la madre.» Ma chissà se davvero le pensava queste cose. Per me era ancora innamorato della sua prima ragazza, ecco. Ma lui diceva: «Io innamorato? Storie!». Però, poi, un bel giorno disse che voleva andare via da Cremona per tentare la fortuna in teatro a Milano. «Dimostrerò a chi so io che non sono un fannullone», disse.  
     
  La sorella. La mamma non voleva che andasse via di casa. «Milano è così lontana», diceva. «Non ti vedrò più». E lui: «Mamma, ma Milano è vicinissima. Cerca di capire: a Cremona non c'è avvenire per me, voglio tentare di sfondare».  
     
  La zia Olga. Venne a vivere in casa mia. Proprio la sera in cui arrivò, al teatro Puccini c'era un concorso per giovani attori, "L'ora del debuttante". «Andiamo, su» dissi a Ugo, «vediamo se fai ancora in tempo a iscriverti.» Lui non voleva, diceva che non era preparato, ma furono tante le mie insistenze che si convinse. Riuscì a iscriversi e a partecipare allo spettacolo. Fece delle imitazioni. Fu un successone. E subito un impresario lo scritturò per un avanspettacolo.  
     
  La sorella. A Cremona ci tornò quando morì la mamma. Fu un grosso dolore per Ugo. Ecco, non se l'aspettava: la mamma era così giovane. In quella circostanza per la prima volta vidi mio fratello piangere.  
     
  L'amico. A Cremona, dopo, non ci venne quasi più. Incominciava a lavorare, non aveva tempo. Ma io andavo spesso a Milano a trovarlo. Poi, durante una tournée, lo seguii per quindici giorni. Ragazzi, che vita! Ugo aveva ogni sera una ragazza diversa. E il bello era che non doveva fare nessuna fatica per conquistarle. Erano loro che gli facevano la corte, che facevano a gara per passare le serate con lui. Erano quasi tutte ballerine, ragazze di teatro. Lui ci flirtava una settimana, poi si stancava. Ma generoso com'era, le sue donne le metteva sempre a posto. Le lasciava, è vero, però trovava sempre per loro un posto nella compagnia o nella compagnia di qualche amico. [...]  
     
  Viene spesso a trovarmi, qui a Cremona. Ci abbracciamo, poi andiamo insieme al caffè a parlare dei vecchi tempi. Glielo chiesi una volta: «Ma perché non ti sposi?». E lui: «Sto bene così». Sì, insomma, stava bene con tanti figli e con tante famiglie. No, da ragazzo non era così. Ma poi ebbe quella delusione con quella ragazza. Incominciò a non credere più nell'amore, ad andare con le donne solo per divertirsi. E a furia di vivere così ci ha preso gusto. Ma chissà se è davvero felice.  
     
  La zia Olga. lo avevo molto da fare in quel periodo. Seguivo Ugo in tournée. Gli tenevo in ordine il camerino, gli preparavo i costumi di scena. Ma il più grandaffare me lo davano le donne di Ugo: telefonavano cento volte al giorno, gli mandavano bigliettini d'amore, regali. «Di' che non ci sono, oppure che sto dormendo, insomma, quello che ti pare: non voglio essere disturbato», mi diceva Ugo quando lavorava. E io allora dovevo dire tutte quelle cose alle signorine. Poi, per fortuna, conobbe Lauretta Masiero: sembrava proprio che si fosse innamorato. Lei era tanto brava, tanto carina. Venivano a casa mia a mangiare, poi uscivano a fare una passeggiata. Proprio una bella coppia. Pensavo proprio che si sarebbero sposati. Invece, un bel giorno, mentre Lauretta era a tavola con noi, Ugo chiese scusa e si alzò. Disse che doveva fare una telefonata. E mentre andavo in cucina a prendere la pietanza, sentìi che dava appuntamento a un'altra donna. Al momento non dissi niente, ma la sera lo sgridai proprio. «Sono cose che non si fanno», gli dissi. «Ma dove hai imparato a comportarti così?».  
     
 

Da "Oggi illustrato", 15 ottobre 1969.

 
     
 
     
   
   
 
 
 
LA VITA DI UGO
 
 
UGO RACCONTA
 
 
DICONO DI LUI
     
  Alberto Sordi
     
  Bernardo Bertolucci
     
  Coro della piccola città
     
  Diego Abatantuono
     
  Donata Tarabusi
     
  Edwige Fenech
     
  Elena Giusti
     
  Enrico Lucherini
     
  Enrico Medioli
     
  Furio Scarpelli
     
  Lorenzo Baraldi
     
  Maurizio Nichetti
     
  Michele Placido
     
  Morando Morandini
     
  Ornella Muti
     
  Paolo Villaggio
     
  Piero De Bernardi
     
  Raimondo Vianello
     
  Stefania Sandrelli
     
  Tullio Kezich
 
 
LA CRITICA E UGO
 
 
UGO TOGNAZZI E RAIMONDO VIANELLO
 
     
 
 
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