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CINEMA
  - I REGISTI E UGO / Dino Risi
 
     
 
     
 
Dino Risi  

Conversazione con
DINO RISI

 
 
     
  Tognazzi era un non attore, uno di quegli uomini simpatici ed allegri che prima di tutto amano vivere e poi filosofare e credo che la sua fine somigli un po' a quella di Gassman, è arrivata come quasi per esaurimento di una forza vitale fuori dal normale. L'avevo conosciuto con Walter Chiari: Ugo e Walter hanno cambiato la comicità italiana proponendosi come due persone qualsiasi al di là delle forzature e dei camuffamenti con berretto e giacche colorate in voga sino alla fine degli anni Cinquanta. Tognazzi era stato straordinario fin dai tempi dell'avanspettacolo e della rivista ed era "esploso" in coppia con Raimondo Vianello prima in televisione con il loro bellissimo "Un, due, tre" e poi in diverse commediole per il cinema. All'inizio degli anni Sessanta fece un gran salto di qualità con film di maggiore rilievo imponendosi come attore completo e facendosi guidare sia da Marco Ferreri che da altri verso il cinema d'autore più impegnato. Sul set era uno uomo simpatico, piacevole ed anche molto creativo, poteva dar vita ad una comicità padana diversa da quella romana e napoletana allora in voga, anche grazie alla sua particolare voce nasale (per i comici la voce è sempre molto importante) che si integrava ad esempio bene con quella di Vianello. Di solito gli attori sono dei "musoni" chiusi nelle loro roulotte, ma per Tognazzi erano molto importanti le sue qualità umana da bon vivant, il suo amore proverbiale per il cibo e per le donne, per gli aneddoti di cui era un grande raccontatone, compresi quelli che riguardavano le sue sconfitte amorose. Era bello stare con lui sul set, il lavoro somigliava ad una scampagnata in allegria: appena poteva Ugo si metteva a cucinare (qualche volta anche piatti da dimenticare...), si divertiva soprattutto a vedere mangiare gli amici e la gente intorno a sé ma lui non mangiava quasi mai: assaggiava soltanto come tutti i grandi cuochi. Lo sentivo affine, mi capitava di vederlo volentieri anche fuori dal lavoro: era un ospite eccezionale, era sempre pronto a farsi in quattro per gli amici, ricordo abbuffate fantastiche di pastasciutta nella sua casa di Velletri e più recentemente in quella di Torvajanica in occasione del torneo di tennis che organizzava ogni anno. Abbiamo girato insieme diversi film: "La marcia su Roma" era un divertente film politico in cui la coppia fino ad allora inedita formata da Ugo e Gassman funzionò molto bene (Vittorio era da poco reduce da "La grande guerra" con Sordi e per lui fu una specie di bis). I due si piacevano molto, Gassman gli invidiava la naturalezza ed essendo una vera e propria "spugna" fu capace di assorbire da Ugo la sua grande umanità, anche se non gli perdonava volentieri i frequenti ritardi sul set. Quando girammo I mostri tra loro c'era grande cameratismo, ma anche un po' di sana competizione e prima di girare i vari sketch ognuno dei due mi chiedeva come si sarebbe truccato l'altro per studiare in tempo una "contromossa". Nell'episodio de I nostri mariti intitolato "Il marito di Attila" raccontavamo una storiella dove la polizia per arrestare un ladruncolo si serve della sua bella moglie (Liana Orfei) mentre in Straziami ma di baci saziami Ugo recitò un bel personaggio di sarto sordomuto innamorato, con parrucca e stralunatezze in stile Harpo Marx; ne "In nome del popolo italiano" era un giudice integerrimo, zelante ed inflessibile che cercava di incastrare ad ogni costo un industriale corrotto e corruttore interpretato da Gassman, prefigurando con vent'anni d'anticipo la stagione di Tangentopoli. In occasione delle riprese de La stanza del vescovo, dove dava vita ad un bellissimo personaggio di seduttore ben delineato da Piero Chiara nel romanzo omonimo che lo ispirò, si può dire che abbiamo in realtà trascorso a Stresa un lungo periodo di vacanza perché Ugo aveva affittato una specie di piccolo castello sul lago e la sera faceva sempre da mangiare per tutti. Anche in "Primo amore" aveva un ruolo molto intrigante che a lui piaceva molto, quello di un attore ormai anziano che si rifiuta di invecchiare e cerca di vivere pienamente la passione che lo lega ad una giovane e bellissima Ornella Muti mentre nell'episodio de "I seduttori della Domenica" era un uomo che ritrovava una vecchia agenda e contattava con esiti disastrosi le sue amanti del passato ed infine in "Dagobert" si sdoppiava nel ruolo di un papa ed in quello del suo sosia. Con gli attori non ci si conosce mai, sono animali un po' speciali, ma con lui era facile stabilire un buon rapporto perché era un uomo divertente: il più simpatico tra gli attori. Era un uomo di terra, un uomo vero, sincero, sempre brillante. Gli importava trarre piacere da tutto quello che faceva: la cucina, le donne, gli amici. Anche sul set sembrava che non gli interessasse tanto il film quanto l'amicizia: spesso non ricordava le battute, facendo poi nascere cose molto divertenti perché improvvisava, diceva quello che gli passava per la testa. Ogni volta c'era una battuta diversa, e così il copione si arricchiva: d'altra parte lui veniva dal varietà, e aveva una straordinaria capacità d'inventare. Quando era con Gassman c'era una certa competitività. Vittorio soffriva un po' di gelosia, temeva che anche l'attore avesse più successo di lui, e talvolta si spazientiva di fronte ai ritardi di Ugo sul set. Sul set di "In nome del popolo italiano" Gassman non mi parlò addirittura per giorni, indispettito del fatto che io non avessi detto niente a Ugo per il suo ritardo: «Ma come: Tognazzi arriva un'ora dopo e tu non gli dici niente?» mi chiese Vittorio, che poi per fare pace mi regalò un orologio (ma in seguito se lo riprese). Con Ugo il set era piacevolissimo: io mi divertivo molto. Certo, anche con Gassman c'era molta complicità, ma con Tognazzi c'era divertimento puro. Ricordo la lavorazione di "La stanza del vescovo", dove lui era stato bravissimo: due mesi sul Lago Maggiore che sono stati una splendida vacanza, con grandi mangiate e grandi risate. Credo che fosse un attore più comico che drammatico, ma aveva una finezza tale che poteva fare tutto: aveva insomma quel "di più" che hanno i comici, così anche quando faceva parti drammatiche tirava fuori qualcosa in più degli altri.  
     
  [fonte: tratto dal libro "L'ALTERUGO" e libro "L'ITALIA IN AGRODOLCE"].  
 
     
   
   
 
 
 
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