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Il nostro è stato un rapporto molto felice, che ha tra l'altro coinciso con una stagione assai lieta della mia vita artistica: i film che ho fatto con Tognazzi sono infatti stati caratterizzati da un alto livello qualitativo e da un gran successo. Aveva una sorta di doppia personalità: mentre nella vita era festoso, mangiatore e bevitore, e prendeva le cose in totale allegria, durante il lavoro era invece molto rigoroso e molto attento, molto "sobrio". Fuori dal lavoro era estremamente simpatico e piacevole, stavamo molto insieme: aveva tanti amici tra gli autori e gli sceneggiatori, e aveva la casa sempre piena di persone alle quali faceva provare i suoi "esperimenti" in cucina. Proprio la cucina era una delle sue "manie" (un'altra era il tennis, e anche lì voleva sempre arrivare primo): durante la lavorazione di "Amici miei" si facevano addirittura gare, perché lui sosteneva che la sua cucina, cioé quella di Cremona, era anche più grande rispetto a quella toscana. E poi tutte le settimane, la domenica, chiamava gli amici per far assaggiare i suoi piatti, e organizzava anche una specie di votazione: noi, per giocare, gli davamo sempre voti bassissimi, poi si finiva tutti a ridere. Eravamo molto amici. Ci si trovava nelle vacanze e nei fine settimana, e lui voleva sempre essere al centro della serata con battute e piccoli sketch. Eravamo un gruppo di amici, attori, sceneggiatori, registi: si stava tutti insieme, in gruppo, cosa che purtroppo oggi s'è un po' perduta. Attore più comico o drammatico? Mah, io gli ho fatto fare due o tre scene drammatiche molto belle, in "Romanzo popolare": del resto i grandi attori comici sono sempre grandi attori drammatici, mentre non è sempre vero il contrario. Ho diretto Ugo nei miei film diverse volte e sempre molto volentieri: abbiamo girato insieme un episodio di "Alta infedeltà", "Vogliamo i colonnelli", "Romanzo popolare", "Amici miei" e "Amici miei II" e "Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno". Lo conoscevo bene già prima di lavorare con lui, fin da quando, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, interpretava vari film comici con Raimondo Vianello, prima dell'importante salto di qualità compiuto come protagonista de Il federale di Salce. Si capiva che aveva grandi qualità comiche ma anche di attore intenso e profondo che andavano al di là delle commediole dell'epoca. Era un interprete versatile e completo, aveva molte frecce al suo arco ed era in grado di passare con grande disinvoltura dalla farsa più spinta ai toni drammatici, come accadde ad esempio in "Tragedia di un uomo ridicolo" di Bertolucci. Con i grandi attori si lavora molto meglio che con altri e lui non sollevava mai questioni inutili perché era una persona acuta, spiritosa, intelligente, capace di giudizi sereni e chiari sul proprio lavoro e su quello degli altri. Una volta studiata fino in fondo la storia, bastavano poche parole per mettersi d'accordo e (mentre un attore mediocre potrebbe non avere i mezzi per realizzare un certo suggerimento) con un fuoriclasse di quel calibro bastava una piccola indicazione e lui la eseguiva subito, capiva di che si trattava e sapeva sempre come agire. Oltre che uno splendido compagno di lavoro era un amico molto caro, sia sul set che fuori era simpatico e generoso e gli piaceva divertire e tenere banco. Poi c'era la sua enorme passione per la cucina: era un ottimo cuoco e anche durante le riprese non perdeva l'occasione per mettersi a cucinare appena poteva. Frequentavo molto la sua casa a Velletri dove organizzava molto spesso delle cene a cui teneva molto e imponeva a tutti noi amici (Benvenuti e De Bernardi, Age e Scarpelli, Dino Risi, Paolo Villaggio) delle apposite votazioni, per giudicare le varie pietanze che preparava per ore e ore: noi rispondevamo da vecchi goliardi attribuendo provocatoriamente dei voti bassissimi ai vari piatti, voti molto inferiori rispetto ai suoi indubbi meriti. Verso la fine della sua vita era un po' amareggiato, aveva perso un po' i contatti non era più tanto richiesto nonostante fosse disposto a fare di tutto senza snobismi, ad esempio i ruoli da anziano. Secondo me poteva interpretare ancora a lungo dei clamorosi ruoli di vecchio ma ci ha lasciato troppo presto. Nell'episodio di "Alta infedeltà", girato nel 1964, Ugo era un contadino grossista del parmigiano che, giocando a poker, arrivava a vendersi la bella moglie Michele Mercier, ma poi si preoccupava dei pettegolezzi. In "Vogliamo i colonnelli", sei anni dopo, recitava la parte di un onorevole fascista imbecille e fanatico, circondato da un bel gruppo di non attori come lo scrittore e giornalista Giancarlo Fusco ed il cartoonist Pino Zac. Era un film esplicitamente farsesco in cui abbiamo cercato di mettere in ridicolo quel tentativo di golpe dei servizi segreti deviati e dei forestali negli anni '60 a cui la stampa stava dando grande rilievo. Io e gli sceneggiatori Age e Scarpelli raccogliemmo diverse notizie che potevano esserci utili spingendo poi sul pedale della farsa, ma scoprimmo con grande sorpresa che la realtà non era troppo diversa dalla nostra immaginazione (all'epoca in Grecia c'erano davvero i colonnelli al potere...) Nel 1974 girai poi "Romanzo popolare", dove Tognazzi era un anziano operaio lombardo(del cui divertente eloquio settentrionalese-sindacalese si occuparono Enzo Jannacci e Beppe Viola) che si innamorava di una ragazza molto più giovane di lui (Ornella Muti) che a sua volta si innamorava di un questurino (Michele Placido): la storia acquistava inediti risvolti drammatici fino a quando il protagonista non restava solo. Sul set di "Amici miei", girato a Firenze nel '75, Ugo si affiatò benissimo con Noiret, Celi, Moschin e Del Prete. Ognuno aiutava l'altro, c'era un bel gioco di squadra, ciascuno portava le proprie capacità, classe, qualità, gli interpreti erano molto intonati ed era semplice dirigerli, spingerli o trattenerli, era tutto molto naturale e giocoso: discutevamo accanitamente solo su quale ristorante frequentare la sera. A proposito di questo film pochi sanno forse che Tognazzi era stato scelto in un primo momento per il ruolo del giornalista mentre all'inizio la parte che poi gli ho affidato, quella del conte Mascetti (che era un personaggio di una certa classe) avrei voluto affidarla a Raimondo Vianello, il quale invece rifiutò con estrema decisione perché era stato deluso dal cinema. Così Ugo divenne il conte e rese celebre quel giochetto di parole in libertà in cui parlava della «supercazzola brematurata con scappellamento a destra per due come se fosse antani», mentre in "Amici miei atto II" il suo personaggio aveva dei risvolti drammatici perché finiva col diventare paraplegico. "Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno" invece ebbe poco successo. Il carattere di Bertoldo mi piaceva molto ed ero convinto che si addicesse alla vena contadinesca e paesana di Ugo: avevo costruito il personaggio espressamente su di lui. Ambientammo nell'anno Mille i racconti seicenteschi di Giulio Cesare Croce, ma forse tutti i vari personaggi erano troppo favolistici, un po' troppo forzati, sottolineati e superati dai tempi. |
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