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"I fuorilegge del matrimonio", che abbiamo diretto nel 1963 insieme a Valentino Orsini, era suddiviso in sei storie che illustravano dei casi limite ispirati da una proposta di legge sul "piccolo divorzio" avanzata nel 1956 per far sì che il divorzio potesse essere valido soltanto in certi casi eccezionali (come è noto la legge che lo regolamenta fu introdotta nel nostro ordinamento solo nel 1970). Tognazzi interpretò in uno degli episodi un uomo che tornava dalla guerra convinto di essere vedovo e scopriva che la moglie nel frattempo si era fatta suora di clausura ma nonostante questo non riusciva a divorziare da lei. Scegliemmo Ugo a colpo sicuro perché pensavamo che fosse portatore di una grande forza realistica e che avesse in sé anche qualcosa di surreale e lui ha interpretato benissimo il suo personaggio passando dal dato realistico a quello folle, ad esempio quando, disperato perché nessuno lo ascoltava, si metteva a cantare un canto africano. Con noi ad esempio recitò con grande entusiasmo perché capì che poteva spaziare attraverso vari registri. Sul set allestito a Comacchio ci siamo intesi senza troppe spiegazioni: eravamo ben tre registi a dirigerlo e lui si divertiva molto a prenderci in giro: quando prima di ogni scena parlavamo fittamente tra di noi per curarne ogni dettaglio lui ci diceva scherzando come nel rugby «Fate mischia!», ci dava un colpo sulle mani e iniziava a recitare le sue scene. Ricordo che in una sequenza in cui oltre a dirigerlo interpretavo anche il breve ruolo di un avvocato, anche se avrei dovuto dare io lo stop alla fine di ogni ciak finivo regolarmente col dimenticarmene perché ero affascinato dalla sua recitazione e mi fermavo a guardarlo rapito senza andare oltre. Eravamo tutti molto giovani e Ugo ci sconvolgeva con la sua vitalità e la sua energia anche fuori dal set. A causa del caldo e delle terribili zanzare delle paludi la sera eravamo spesso stanchissimi ma Ugo organizzava spesso la cena in albergo seguendone la preparazione personalmente e poi quando noi crollavamo distrutti dalla fatica lui usciva a divertirsi. Tornava regolarmente all'alba, ma al mattino si presentava sempre puntuale sul set fresco come una rosa...Noi pensiamo a lui come ad un attore tragico anche nelle commedie perché quando un suo film finisce ti accorgi che ti ha fatto ridere ma ti ha trasmesso anche un senso di angoscia ed è questa la grandezza del tragicomico. Apparteneva a quelle creature del cinema che "bucano" lo schermo, aveva uno scatto in più e resta tra i grandissimi, le sue interpretazioni continuano a comunicare con noi sempre come tutte le opere dei grandi. |
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