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CINEMA
  - UGO E I REGISTI
 
     
 
     
 
Pietro Germi
 
     
  ...Ne "L'immorale", per esempio, se Germi fosse stato più aperto nei confronti del tema trattato, se mi avesse lasciato un po' più di libertà, sarebbe potuto arrivare a un grande film anche se, così com'è, non è male e ho ricevuto dei complimenti per la mia interpretazione. Il mio personaggio era limitato. In effetti è un grande regista di attori e attrici non molto conosciuti. Ma con me, esigendo una perfetta fedeltà al testo e ai suoi insegnamenti ha realizzato un film un po' antiquato; non ha assolutamente ammesso che il personaggio potesse avere delle varianti.  
     
     
 
Alberto Lattuada
 
     
  "Venga a prendere il caffé... da noi" è stato un film di grande collaborazione col regista. Lattuada mi ha chiesto di aggiungere al personaggio certi modi di essere, certi tic; lui metteva una cosa, io ne mettevo un'altra, uno scambio continuo.  
     
     
 
Antonio Pietrangeli
 
     
  Per "Io la conoscevo bene" mi dettero un Nastro d'argento. Quand'ero un giovane attore sorprendevo, e allora mi davano i nastri, da quando dicono che sono uno dei più grandi attori d'Europa, né nastri né grolle né altro; Pietrangeli era un buon regista, con una preparazione artigianale abbastanza forte, ed era nel cinema da tempo. Era molto tenace, ma come regista devo francamente dire che non era adatto a me. Perché era un regista da quattordici ciak. Se io ero andato bene e c'era un pelino nell'inquadratura, un'ultima comparsa che non era entrata nel momento giusto e di cui nessuno spettatore si sarebbe mai accorto, si ripeteva quattordici-quindici volte, e questo non é nel mio temperamento. Però questa sua tenacia e pignoleria, questo suo modo di girare garantendosi il meglio, faceva sì che i suoi film fossero rispetto alla media di qualche gradino più in alto. Io la conoscevo bene è un film indovinato, un bel ritratto di ragazza, con una sceneggiatura giusta e due o tre punti molto forti, e uno di questi è proprio il mio. Io non avrei dovuto fare quel personaggio, bensì quello dell'attore che veniva premiato. Fui io a scegliere l'altro, quello del guitto. Siccome la Sandrelli non era ancora una vedette, Pietrangeli mi aveva detto che voleva qualcuno di noi più affermati per il contorno, perché se no il film non sarebbe riuscito a farlo. Era riuscito ad avere Manfredi e gli mancavo io, ma credo che per primo avesse interpellato Sordi, il quale logicamente non accettò di fare un'apparizione così, e allora vennero da me. Avrei dovuto in fondo rappresentare me stesso, per quel tanto di popolare che ero già allora. Ma leggendo la sceneggiatura mi fissai sul personaggio dell'attore fallito. Avevo fatto per quindici anni il varietà ed era un personaggio che conoscevo, nel quale ho messo due o tre elementi della mia esperienza. Invece di fare il tip tap avrei dovuto cantare una canzoncina, feci il tip tap, fu un'idea mia, perché mi sembrava più efficace della canzoncina. La canzoncina avrebbe portato a uno sfottò del pubblico e basta, il tip tap invece, con il fatto di essere anziano e sentirmi male, avrebbe creato un rapporto più intenso, e reso più stridente il rapporto coi quattro stronzi della festa, avrebbe portato un'aria da piccolo melodramma.  
     
     
 
Dino Risi, Mario Monicelli
 
     
  I film di Risi, quelli di Monicelli, altri ancora hanno una costruzione molto elaborata; all'interno di essa non si può abbattere nessuna parete, bisogna adattarsi a una costruzione molto precisa. Al contrario, in un film di Ferreri o di altri registi, si tratta di una casa all'interno della quale le pareti non sono ancora costruite: si costruisce l'appartamento come si desidera. Quando nella sceneggiatura é previsto tutto, quando si é definito un certo tipo di costruzione e questa costruzione é buona, é inutile cercare di andare oltre: si é meno incitati a fare di più e meglio.  
     
     
 
Luciano Salce
 
     
  Dentro di me covavo altre voglie. Con l'indicazione del "Federale" mi sembrò in quel momento di poter scoprire la strada giusta per iniziare quasi un nuovo mestiere. Ma naturalmente Broggi e Libassi col loro copione di Castellano e Pipolo cercarono di creare la solita sicura combinazione. Avevo anche un'altra proposta, ma siccome sentii che in quel testo mi si offriva un'occasione diversa, mi imposi affinché a dirigere e a coordinare questo film anche in fase di sceneggiatura intervenisse un regista ambizioso, giovane, con il quale poter parlare, perché sapevo già che cosa potevano predisporre in partenza i due produttori. Loro mi dicono: «Va bene, fai tu un nome!». Io conoscevo Salce perché aveva fatto la regia della mia ultima commedia musicale, "Uno scandalo per Lili", e mi sembrava una persona con cui si poteva avere un dialogo, e Salce aveva fatto come primo film un film alla Mattoli o alla Mastrocinque che si chiamava "Le pillole di Ercole". Insomma ho agito d'astuzia, perché se Salce avesse fatto prima un film più impegnativo e avessi mandato i due produttori a vederlo, mi avrebbero detto senz'altro di no, invece videro "Le pillole di Ercole", una vecchia pochade, e trovarono quel che loro cercavano, un film d'assoluta evasione, e dissero di sì. Allora vidi Salce e gli dissi: «Mi sembra che questa sia l'occasione per fare qualcosa di diverso, per avere un personaggio anziché un pretesto meccanico di commedia o parodia». Salce fu d'accordo, lavorò con Castellano e Pipolo, e si fece il film. Mentre giravo la parte finale, i produttori, attraverso vie non alla luce del sole, mi offrirono un'automobile a patto che aggiungessi delle battute comiche a quel finale, perché erano intimoriti dalla svolta che c'era nel film quando mi picchiano e quando viene fuori la morale della favola e l'essenza del personaggio. Non ricordo se l'automobile la ebbi, ma ricordo che però la battuta ce la misi, e quando Wilson mi dice: «Non hanno picchiato te, hanno picchiato la tua divisa», risposi, benché ammaccato di botte e in un contesto abbastanza serio: «Sì, ma la divisa ce l'ho io». Allora le operazioni cinematografiche erano un po' più alla Brancaleone e i produttori avevano iniziato il film senza aver ancora la distribuzione. I due soci fecero una pro zinne con alcuni distributori, quelli che avrebbero dovuto prendere il film, e ricordo due distributori che alla fine mi presero da parte e mi dissero: «Tognazzi, tu devi fa' i film comici!». Broggi e Libassi dovettero legarsi all'ultimo momento a una distribuzione piccola proprio perché (e parlo del "Federale", non di "Porcile" di Pasolini!) non trovarono altro. Era un filmino, un quadretto rispetto al pannello cui in fondo si rifaceva, quello di "La grande guerra", ma con certe piacevolezze che valgono quelle del grande quadro. Alcuni critici poi vollero farlo apparire quasi qualunquista, perché si dava una giustificazione a questo povero ingenuo che invece rispecchiava tutti quegli italiani che in un periodo precedente se non si erano comportati così poco ci mancava, e di federali di quel genere che poi hanno continuato le loro belle carriere dopo la guerra non ne sono certo mancati.  
     
  [fonte: tratto dal libro"LA SUPERCAZZOLA"]  
 
     
   
   
 
 
 
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