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Amici miei |
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INTERPRETI E PERSONAGGI: |
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Ugo Tognazzi (il conte Lello Mascetti), Philippe Noiret (Giorgio Perozzi), Gastone Moschin (Giambaldo Melandri), Adolfo Celi (il prof. Sassaroli), Duilio Del Prete (Necchi), Bernard Blier (Righi), Olga Karlatos (Donatella), Milena Vukotic (Alice, moglie di Mascetti), Silvia Dionisio (Titti), Franca Tamantini (Carmen, moglie di Necchi), Angela Goodwin (l'amante di Perozzi), Marisa Traversi (la moglie separata di Perozzi), Edda Ferronao (una suora), Maurizio Scattorin, Mauro Vestri, e il cane Birillo. |
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CAST TECNICO |
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Soggetto: Pietro Germi - Sceneggiatura: Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Tullio Pinelli, Pietro Germi - Fotografia (Panoramico, Eastmancolor): Luigi Kuveiller - Scenografia: Lorenzo Baraldi - Musica: Carlo Rustichelli - Montaggio: Ruggero Mastroianni - Produzione: Carlo Nebiolo per Rizzoli Film (Roma) - Distribuzione: Cinetiz - Origine: Italia. |
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TRAMA |
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Cinque amici cinquantenni, toscani e buontemponi, cercano di vincere la noia quotidiana incontrandosi per combinare insieme scherzi e goliardate. Tra lora c'è chi ha famiglia (come il nobile spiantato Lello Mascetti, che stenta a mantenere moglie e figlia) e chi vive separato dalla moglie con un figlio già grande (il giornalista Perozzi, la cui voce fuori campo collega e commenta fatti e fatterelli che compongono il racconto); ci sono professionisti affermati, come l'architetto Melandri e il chirurgo Sassaroli, ideatore delle burle più atroci, e il modesto gestore di caffé (Necchi): accomunati tutti dalla voglia di ridere di se e degli altri, dal gusto di non prendere mai nulla sul serio. Quando vogliono divertirsi, anche per dimenticare le loro peripezie sentimentali (Melandri ha una relazione con Donatella, la moglie di Sassaroli, mentre Mascetti ne ha un'altra con una studentessa minorenne), stanno assieme nel bar di Necchi o scorazzano nottetempo per Firenze e dintorni, divertendosi come possono: prendendo per esempio a schiaffi i viaggiatori affacciati ai finestrini di un treno appena partito dalla stazione o facendosi passare, in un paesino, per tecnici stradali incaricati di abbattere le case, e perfino la chiesa, per far passare una autostrada. Il gruppo gioca la beffa più crudele a un ingenuo e goloso pensionato, Righi, reo di aver consumato cannoli a sbafo: lo coinvolgono in un presunto traffico di droga, lo invitano a clandestini incontri notturni, spaventandolo con finte rivoltelle. Anche i funerali di uno di loro, Perozzi, offre agli altri l'occasione di un ennesimo scherzo ai danni di Righi. Ma oramai gli amici cominciano a rendersi conto che non potranno ancora a lungo sfuggire alla realtà, alle amarezze della vita e dell'età. |
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LA CRITICA |
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Il film, scritto con e per Pietro Germi, che doveva curarne la regia, è passato a Monicelli dopo la morte improvvisa del primo. "Amici miei" ha avuto uno straordinario successo commerciale: nella stagione 1975/76 si è piazzato al primo posto nella classifica degli incassi nelle prime visioni con quasi 3 miliardi di lire. |
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«[...] Pagine godibili [...] ve ne sono e non di rado anche di gusto fine; specie quelle che l'abile regia di Mario Monicelli meglio tiene in equilibrio tra follia e gioco, celando solo a metà il dolore di fondo [...], o quelle che, con pochi tratti [...], evocano di scorcio ritrattini dolenti e patetici [...]. Sorregge queste pagine [...] una interpretazione tutta ghiotta di sapori, ma non priva di accenti dolce-amari e grotteschi nel clima del «Ridi, pagliaccio». Quelle di Ugo Tognazzi, soprattutto, il personaggio più scardinato, e di Gastone Moschin, il personaggio più folle; non inferiori, comunque, a quelle di Philippe Noiret, il personaggio invece più quieto [...], di Adolfo Celi [...], di Bernard Blier, fugacissima ma succosa, e di Milena Vukotic [...]».
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«[...] Monicelli ha ridotto al minimo le suggestioni e le implicazioni penose [...], si è tuffato nel racconto con una specie di giocoso accanimento, riuscendo meglio laddove la sua identificazione con i cinque burloni sembra arrivare fino all'omertà [...]. Monicelli, col suo mestiere ordinato e paziente, impegna larga parte del metraggio nel tentativo, per metà riuscito, di dare un carattere autentico, seppur paradossale, ai suoi protagonisti. [...] Ha cercato, talvolta con fortuna, di operare sulle psicologie, con l'aiuto di attori assai capaci (Tognazzi, Adolfo Celi; ma anche Noiret e Moschin): i quali si sono prodigati con un affiatamento, uno zelo e un calore di cui l'opera molto si avvantaggia. In seconda lettura, tuttavia, il film denuncia una certa magrezza di motivazioni; insieme, una sovrabbondanza di "trovate". [...]».
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«[...] È il più bel film sulla maledizione di essere toscani che l'Italia sinora abbia fatto. [...] Monicelli [...], ampliando gli schemi della commedia all'italiana col custodire la polivalenza di significati del soggetto ha saputo raccogliere intorno al film le simpatie di spettatori molto diversi: dei meno esigenti, che rideranno vedendo quante forme possa prendere la virtù fantastica della canzonatura [...], e di quelli più pensosi e piu colti, che riconosceranno in queste cronache sarcastiche l'eco d'una lunga tradizione letteraria [...]. Gli uni e gli altri faranno festa a Tognazzi e a Philippe Noiret, tornati a dire insieme la loro grande ricchezza espressiva [...]».
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«[...] Questi cinque amici sono irrimediabilmente datati. "Amici miei" è un ritratto di costume ma anche un film "in" costume che, invece di svolgersi venti o trent'anni fa, è ambientato ai giorni nostri. Infatti il loro modo di stare e razzolare insieme, di scherzare a spese del prossimo ma anche di se stessi, è tipico di una stagione tramontata. [...] L'attualizzazione è del tutto fittizia. Oggi i cinquantenni del loro genere, integrati alla società dei consumi, pensano non piu alle "zingarate", ma esclusivamente ai soldi [...]. Per questi allegri cialtroni la vita è un gioco, a coprire, sembra, delusioni private e familiari, ma comunque edificato sull'emulazione altrui. Possono far ridere (come Tognazzi che senza batter ciglio si rivolge all'interlocutore con una filastrocca oscena ma incomprensibile, o come Noiret che la ripete in punto di morte al prete che lo confessa e lo assolve), ma non sollecitano alcuna riflessione né sul mondo né, più modestamente, sulla stessa amicizia: perché in sostanza non si vive di sole burle autosufficienti, e quindi non si puo essere, su questa fragile base, neanche amici. Monicelli e i suoi attori (tutti bravi, ma particolarmente pregevoli l'allucinato Moschin barbuto e un Blier maligno nel profilo del pensionato burlato perché meschino) hanno eseguito un buon lavoro tecnico, con grande fedeltà alla memoria di Germi [...]».
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