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La stanza
del vescovo |
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INTERPRETI E PERSONAGGI: |
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Ugo Tognazzi
(Temistocle Mario Orimbelli), Ornella Muti (Matilde
Scrosati), Patrick Dewaere (Marco Maffei), Gabriella
Giacobbe (Cleofe Orimbelli), Marcello Turilli (l'ingegnere
Berlusconi), Katia Tchenko (Charlotte), Karine Verlier
(Germaine), Lia Tanzi (Landina), Francesca Juvara (Martina),
Pietro Mazzarella (Brighenti), Franco Sangermano (il
giudice), Renzo Ozzano. |
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CAST TECNICO |
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Soggetto: dal
romanzo omonimo di Piero Chiara (ed. Mondadori) - Sceneggiatura:
Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, in collaborazione con
Piero Chiara, Dino Risi - Fotografia: (VistaVision, Telecolor):
Franco Di Giacomo - Scenografia: Luigi Scaccianoce -
Arredamento: Bruno Cesari - Costumi: Orietta Nasalli
Rocca - Musica: Armando Trovajoli - Montaggio: Roberto
Gallitti - Produzione: Giovanni Bertolucci per Merope
Film (Roma)/Carlton Film Export, Société Nouvelle
Prodis (Parigi) - Produttore associato: Enrico Lucherini
- Distribuzione: Titanus - Origine: Italia-Francia (il
film è stato girato in esterni sul lago Maggiore)
- Titolo di comproduzione: "La chambre de l'evêque". |
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TRAMA |
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Il racconto è ambientato
sul lago Maggiore, net clima di incertezza e di confusione
dell'Italia del 1946. Marco Maffei passa il tempo navigando
sulla sua barca a vela, la "Tinca". Un giorno
conosce casualmente un certo Orimbelli, che lo invita
nella propria villa in riva al lago. Marco conosce
così la moglie di Orimbelli, Cleofe, e la cognata Matilde,
sposata per procura con il fratello della moglie di
Orimbelli, dato per disperso in Abissinia. Dopo una
notte passata alla villa nella "stanza del Vescovo" (così chiamata
per una veste talare conservata in un armadio), Marco
parte con Orimbelli per una crociera di una settimana
sul lago e si accorge ben presto che quest'ultimo conta
tutta una serie di occasionali amicizie femminili,
con le quali si mostra instancabile. Tornati alla villa,
Marco nota un crescente interesse di Matilde per lui.
La invita allora a una nuova crociera: ma, quando Orimbelli
gli spiega che lui e Matilde sono amanti da anni, accetta
di rinunciare a far la corte alla donna. Dopo aver
pernottato a Pallanza, i gitanti ripartono per Luino,
dove li raggiunge la notizia che Cleofe è stata
trovata annegata nella darsena della villa. Dall'inchiesta
delle autorità risulta che si è trattato
di suicidio. Rimasto in villa, Marco assiste al matrimonio
di Orimbelli con Matilde. Ma un giorno ricompare inaspettatamente
il fratello di Cleofe: e questi manifesta la convinzione
che sia in realtà Orimbelli il responsabile
della morte della moglie. Dopo una breve inchiesta,
il sospetto diventa certezza anche per le autorità.
Dopo aver cercato invano di sfuggire ai carabinieri,
Orimbelli si barrica nella "stanza del Vescovo" dove
si impicca, lasciando una lettera in cui si dichiara
innocente. Rimasti soli nella villa, Marco e Matilde
passano una notte d'amore: ma il giorno dopo Marco
decide di ripartire, di andarsene per sempre. |
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LA CRITICA |
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«[...]
Tornato in buona forma dopo un paio di prove sfocate,
Dino Risi ci dà con "La stanza del vescovo" [...]
un film riuscito. Merito anche della sceneggiatura
di Leo Benvenuti e Piero De Bernardi, che ce la fanno
a rispettare il libro e a riproporlo in un'impaginazione
diversa [...]. Nella schiera dei migliori personaggi
di Tognazzi, in sintonia con il mondo di Chiara fin
da "Venga a prendere il caffé... da noi", entrerà certo
questo ambiguo femminiere in sahariana, ribaldo, spregevole
e simpatico. [...]». |
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«[...]
Una "commedia all'italiana", forse più sostenuta
di tono rispetto ad altri recenti esemplari, ma non
indenne da accentuazioni plateali di quanto, nel libro,
era suggerito tra le righe, con pungente garbo. Così
anche la rozzezza, l'esibizionismo virile, la sbruffoneria
dell'Orimbelli sono spinti al limite della macchietta,
sebbene poi il bravo Ugo Tognazzi riesca a conferire
al protagonista una sorta di squallida dignità,
raggiunta per vie oscure, nel tragico finale. [...]». |
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«[...] La
tessitura narrativa [...] risulta semplificata in modo
eccessivo, i personaggi faticano a rendere credibili
e logici i loro moventi, e i caratteri, schematizzati
al massimo, perdono abbastanza di sapore, in atmosfere
troppo smorte per essere drammatiche e troppo statiche
per essere comiche. Dino Risi, per esorcizzare queste
pecche, ha fatto leva sulla figura dell'Orimbelli, spostando
su quella tutto l'asse del racconto [...]. Il risultato
[...] convince soprattutto per merito di Ugo Tognazzi,
in sagace equilibrio tra verità e menzogna, cinismo
e passione, decoro e bassezza; con una misura sommessa
che anche quando gli esibizionismi del personaggio lo
portano a colorire e ad accentuare, lo trattiene poi
sempre al momento dovuto: senza una nota di troppo. [...]».
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FOTOGALLERY |
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