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| F.B.I. Francesco Bertolazzi Investigatore |
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LA SERIE |
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Serie Tv formata da 6 episodi di 50 minuti, andata in onda a partire da domenica 19 aprile 1970 alle ore 21,00 sul secondo canale. |
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Episodi: "Il ritorno di Ulisse", "Getto della spugna", "Labbra serrate", "Notte americana", "Rapina a mano armata", "Sparita il giorno delle nozze". |
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INTERPRETI E PERSONAGGI: |
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Francesco Bertolazzi (Ugo Tognazzi), Ines, moglie di Francesco (Margot Trooger), Daniele, figlio di Francesco (Benjamin Lev), Claretta, Figlia di Francesco (Claudia Butenuth), Domenico, suocero di Francesco (Umberto Spadaro), Il portiere (Vincenzo Innocenzi), Commissario Clementi (Enzo Cannavale), Jessica Dublin, Norma Blake, Franco Fabrizi, Marco Ferreri, Mitchell Kowall, Harry Blake, Gian Luigi Polidoro, Nora Ricci, Stefano Satta Flores, Achille Togliani, Nino Vingelli. |
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CAST TECNICO |
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Regia: Ugo Tognazzi; collaborazione alla regia: Francesco Massaro; soggetto e sceneggiatura: Age e Scarpelli; fotografia: Sergio d'Offizi; musica originale: Manuel De Sica; organizzazione generale: Sergio Gilioli; produzione: RAI - Gamma TV Stefano Canzio |
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TRAMA |
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Scalcinato detective privato che per pubblicizzarsi sfrutta con disarmante improntitudine l'assonanza fra le sue iniziali e l'acronimo della celebre agenzia investigativa federale americana. La soluzione di modesti casi gialli serve da pretesto a Tognazzi e agli sceneggiatori Age e Scarpelli per ritrarre con sapida ironia i molti vizi e le poche virtù della capitale: emerge infatti il ritratto caricaturale di un generone romano pieno di nostalgici del ventennio fascista (l'episodio "Sparita il giorno delle nozze"), di un manipolo di aristocratici decadenti ("Il ritorno di Ulisse"), di una pittoresca comunità di americani residenti a Roma ("La notte americana"), di un coacervo cafone di speculatori edilizi, tangentisti, lottizzatori e faccendieri assortiti ("Labbra serrate"), di un ambiente sportivo già allora corrotto dall'interferenza degli sponsor ("Getto della spugna"). Nell'episodio "Rapina a mano armata" ci si sposta invece in provincia per affrontare sorridendo un fenomeno drammatico, descritto così da uno degli stessi personaggi: «L'abbandono dei comuni agricoli, specie montani, e la corsa all'inurbamento del giovane che non può più vivere in queste località e sogna Roma, Milano, i denari facili e, preso dall'odio verso tutti, agisce compiendo fatti di cronaca». Insomma, un esempio pionieristico di serialità televisiva di buona fattura, dove il divertimento è sempre accompagnato dall'intento di inquadrare sullo sfondo un problema sociale o un fenomeno di costume. |
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| Furio Scarpelli, ideatore e sceneggiatore insieme ad Age della serie, ricorda così F.B.I. e Tognazzi |
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«C'erano due o tre cose sostanziali che caratterizzavano F.B.I. Una si riferiva soprattutto allo spirito della vicenda che, nell'elaborazione del testo della sceneggiatura, conferiva al prodotto un proprio stile e un significato. Mi spiego meglio. Ci eravamo prefissati di ambientare nella provincia romana, arretrata e molto per l'appunto provinciale, delle inchieste condotte da un poliziotto privato, mettendo ancor più in risalto le differenze che passavano tra il progresso della metropoli e l'arretratezza della provincia. Insomma la provincia presa a pretesto di gabbia sociale nella quale poter affrontare un discorso genuino, di bonarietà di passioni e sentimenti, vorrei dire di "burineria". Tognazzi era stato scritturato per la parte di questo poliziotto dilettante, quando ebbe l'occasione di dirigere l'intera serie, e lo fece, a mio avviso, nel migliore dei modi. Entrando pienamente nello spirito delle storie. Noi poi ci divertivamo a scrivere le storie e a renderle più caserecce: un poliziesco-casereccio. Aiutati in questo da Tognazzi che aveva una forza estremamente realistica, di verità che si portava dietro dalla propria storia personale e del proprio vissuto di attore che veniva dal basso, dal varietà, dalle riviste. Non aveva il fanatismo dei neofiti del cinema, di chi vuole essere regista solo per girare qualcosa, senza pensare alle storie e agli ambienti. Una lezione di stile». |
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LA CRITICA |
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F.B.I. FRANCESCO BERTOLAZZI INVESTIGATORE. UNA PARENTESI E UNA TESTIMONIANZA DI FURIO SCARPELLI |
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Sedici anni dopo "Un, due, tre", uno dei più bei varietà della televisione delle origini (e non solo), Ugo Tognazzi torna in Tv. E lo fa dalla porta principale, con una serie dal titolo "F.B.I. - Francesco Bertolazzi Investigatore", della quale sarà regista e protagonista. Due soli anni sono trascorsi dalla sua terza regia; quel "Sissignore" partito con notevoli ambizioni e definito da Gastone Moschin, uno degli interpreti, «un film a metà». Con lo sguardo retrospettivo d'oggi invece per nulla da buttare. Nel frattempo Tognazzi era tornato a raccogliere successi, tra commedie e tentativi di accreditarsi come attore di "autori", con film come "Satyricon" di Gianluigi Polidoro, "Porcile" di Pier Paolo Pasolini, e "Nell'anno del Signore" di Luigi Magni ed ancora attendevano l'attore cremonese "Splendori e miserie di Madame Royale" di Vittorio Caprioli, "Venga a prendere il caffè da noi" di Alberto Lattuada e "La califfa" di Alberto Bevilacqua. A questo punto prima di addentrarci nel discorso che si vuole impostare è necessaria una premessa. Infatti, non mi soffermerò né sui singoli episodi né sulle trame del "Bertolazzi" (ne hanno già dato riscontro altri saggi contenuti nel libro); piuttosto la serie televisiva si configura come un'ampia parentesi, una casuale congiuntura nell'intera produzione artistica (non solo per la regia) di Ugo Tognazzi di cui non si può non tenerne conto, contando più sul valore "storico" che sul suo effettivo valore "artistico". Per una comodità di gestione dell'argomento ho ritenuto di articolare il contributo in tre parti. |
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Il primo episodio va in onda domenica 19 aprile 1970 sul secondo canale; nel medesimo periodo a stretto giro di date tra i mesi di febbraio e di aprile, la RAI produce tutta una serie di nuovi programmi: il 5 febbraio "Rischiatutto" con Mike Buongiorno e Sabina Ciuffini (quiz che raccoglie l'eredità di "Lascia o raddoppia?"); il 30 marzo "Habitat" di Giulio Macchi (rubrica di largo successo che andrà in onda fino al '78); il 7 aprile "Medicina oggi" (in seconda serata e sul secondo canale); il 16 aprile "Turno C" di Aldo Forbice e Giuseppe Momoli (programma sulle condizioni di vita degli operai). Quindi una televisione pubblica attenta al sociale e non solo all'intrattenimento. Sopravvivevano ancora i grandi sceneggiati per famiglia ("Il cappello del prete" da Emilio De Marchi regia Sandro Bolchi e "Papà Goriot" da Balzac di e con Tino Buazzelli), mentre il varietà si rinnovava nel linguaggio e nei contenuti, più cura dei dettagli scenografici, più attenzione alle coreografie e ai siparietti musicali, spazio alla satira e alla critica del costume, felici esempi furono: "Canzonissima" col "Tuca Tuca" della Carrà; "Doppia coppia" con le imitazioni di Alighiero Noschese e la "maschera" di Bice Valori; "Io Agata e tu" con Nino Ferrer e ancora la Carrà e Nino Taranto; "Senza rete" di Enzo Trapani con Luciano Salce e Enrico Simonetti, direttore musicale presente anche nel show di Ferrer. La partita Italia - Germania (il 4 a 3 di Rivera allo stadio Azteca di Città del Messico) ai Mondiali di Calcio del Messico il 17 giugno fu il programma più visto dell'anno. Ma il '70 è anche la stagione del grande cinema prodotto per la tv: "I recuperanti" di Ermanno Olmi (andato in onda il 29 marzo); "Strategia del ragno" di Bernardo Bertolucci (Il 25 ottobre). Se Fellini chiuse l'anno del cinema televisivo con la messa in onda la sera di Natale de "I clowns", ad aprirlo, precisamente il 17 gennaio era stata la trasmissione di Mario Raimondo e Italo Moscati "Sperimentali per la TV", autentica palestra per molti registi esordienti come Gianni Amico, Gianluigi Calderone e Peter Del Monte. Dunque il 1970 è stato un anno felice per la televisione. Nel '69 Tognazzi aveva vestito i panni, per Scola, de "Il commissario Pepe", pellicola che aveva raggiunto una certa notorietà, sebbene per il ruolo del protagonista, un poliziotto, e per il clima dell'epoca (sono gli anni della contestazione generale, del malore attivo dell'anarchico Pinelli) il film era stato un azzardo. Vale la pena di riportare una frase di Godard: «...i film polizieschi invece piacciono molto, sono fra le cose che hanno più successo; al punto che si può dire che siano diventati pane quotidiano...» (J.L. Godard. "Introduzione a una vera storia del cinema", Editori Riuniti, Roma, 1982 citata da Roberto Ellero in "Ettore Scola", Il castoro/L'unità, Milano, 1995). Un'intuizione giusta per tutte le stagioni per chi è costretto, ieri come oggi, a districarsi tra i "distretti di polizia", "commissari", "squadre" che imperversano nella televisione italiana, pubblica e commerciale di questi tempi. Di certo è che Tognazzi s'identificò nel ruolo del poliziotto e la televisione ne adocchiò le potenzialità. Per alcune fortunate coincidenze fu offerta a Tognazzi, già scelto come protagonista, anche la regia di tutti gli episodi della serie. Per Aldo Grasso, che rimpiange l'attore di "Un, due, tre", «Ugo Tognazzi, nei panni di Francesco Bertolazzi, è un detective privato, casereccio e nostrano, aiutato nelle sue disordinate e casuali indagini dal suocero Domenico, dalla moglie Ines e dai figli Claretta e Daniele». Lo storico della televisione e cinefilo continua «I sei telefilm scritti da Age e Scarpelli hanno il classico schema del giallorosa: non ci sono mai morti, ma solo furti, sparizioni e tentativi di corruzione» (Aldo Grasso, "Storia della televisione italiana", Garzanti, Milano, 1992). Il giudizio, tutto sommato negativo, credo risenta delle perplessità che il Tognazzi regista suscita e ha sempre suscitato al cinema, si figuri in Tv Sergio Saviane, altro acutissimo critico televisivo, è più circostanziato trovando che in «un'epoca di funambolismo si può far di tutto, e tutto è concesso», specialmente in televisione; d'altronde «l'hanno già fatto molti attori di cinema (Vittorio De Sica, Ugo Tognazzi, Alberto Sordi)» che segnatamente al passaggio dal grande al piccolo schermo si siano dedicati, pure, alla regia televisiva. «La macchina da presa e la telecamera hanno un loro fascino». (Sergio Saviane, "Video Malandrino", Sugarco, Milano, 1977). Chissà se è il medesimo. |
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(Fabio Francione) |
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