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CURIOSITA'
  - LE 4 LEGGENDE - La leggenda del viaggio in autostrada
 
     
 
     
 
La leggenda del viaggio in autostrada
 
 
(di Paolo Villaggio)
 
     
  Un anno, a Bologna, stavamo girando con Pupi Avati "La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone". Alla fine della lavorazione avevamo deciso di andare al cinema Arena del Sole. Eravamo con una strafiga sulla quale Tognazzi voleva fare colpo. Si era vestito da ragazzo: pancera sotto il maglioncino, scarpe con tacco mascherato e un po' di rimmel agli occhi. Arriviamo alla cassa e lui: «Tre, per favore» trattenendo il respiro. E la cassiera, carogna: «Due adulti e un anziano?». Lui si è inalberato e ha urlacchiato di fronte a tutti: «Ma che te frega! Scema!». «Volevo farla risparmiare!» «Ma risparmiare che cosa!» ha urlato. «Ma va' a da' via i ciap!». Si è voltato, mi ha preso per un braccio e m'ha detto: «Vieni, andiamo via. Mi è passata la voglia di andare al cinema». Nel film di Avati c'era una giovane attrice che gli piaceva molto e che gli ha domandato: «Domani posso venire a Roma con te e Villaggio in macchina?». Lui aveva una spider rosa a tre posti anteriori che si chiamava Matra. Era piena di gadget e di trucchi infernali che lui non riusciva a controllare. Partiamo la sera di sabato. Lui guidava, era felice e ciarliero come un quindicenne innamorato. La ragazza era al centro. Dopo Bologna lui dice: «Vi dispiace se fumo?», e si mette in bocca una sigaretta. E alla ragazza: «Chai d'accendere?». E quella, che era povera, tira fuori dalla borsetta un Cartier d'oro. Glielo passa, lui accende, spegne con una soffiata e butta I'accendino dal finestrino. La ragazza è rimasta pietrificata e poi, quasi piangendo: «Il mio Cartier...». Abbiamo fatto una paurosa inversione a U. Era notte fonda, e dopo un'ora abbiamo abbandonato le ricerche. A duecentoventi chilometri da Roma la ragazza singhiozzava ancora debolmente. Lui si mette una sigaretta in bocca e dice: «Nessuna paura! Accendo con I'accendino dell'auto», e schiaccia un bottone a caso. Si chiudono entrambi gli sportellini dei fari e nel buio più completo lui perde, urlando, il controllo dell'auto e cominciamo il più lungo testacoda della storia dell'automobile. Trovato l'interruttore del fari ripartiamo. Si ferma a un distributore: «Il pieno, per favore! Posso pagare con la carta di credito?». Il benzinaio, che dormiva, aveva una faccia da killer e io gli sussurro: «Ti conviene, però, dargli un po' di mancia». Quando quello restituisce la carta di credito lui tira fuori dal portafogli un biglietto da centomila lire. «Non c'ho il resto». «Tenga tutto!» «Grazie, signor Tognazzi, veramente grazie! Lei è proprio straordinario!». Ripartiamo, e lui: «Avete visto che esagerazione? Ma vi rendete conto? Per dieci mila lire?». E io con molta prudenza: «Ugo, guarda che gliene hai date cento!». Lui fa una frenata di quaranta metri. Controlla nel portafogli. «Torniamo indietro!» La ragazza ricomincia a singhiozzare. Il distributore era chiuso. Siamo andati per campi a suonare nei casolari. Una contadina, addormentata, da una finestra ha detto: «No! Il benzinaio non abita in zona. Torna lunedì!». Ancora verso Roma. Albeggia. Vedo che lui comincia a stringere il volante in maniera innaturale, ansima leggermente. «Che succede?» gli domando. E lui, con voce da suora: «È stato quel maledetto yogurt gelato che m'ha fatto bere questa scema al grill di Sasso Marconi», e ha indicato con la testa la ragazza al suo fianco. «Ce la fai?» E lui, rantolando: «Non lo so. Ho dei dolori tipo parto. Ancora tre minuti e sono spacciato!». Fortunatamente, in fondo al rettilineo, quasi un miraggio. Un distributore aperto. Lui si ferma, scende a fatica, e camminando alla Frankenstein va verso il bar illuminato. Ansima penosamente e dice al barista semiaddormentato: «Abbiate pieta, la toilette?». Quello gli fa un gesto villano con la testa. Si trascina quasi ululando verso una porticina, entra e accende la luce. C'era solo un piccolo lavabo. Dopo un'ora entro al bar con la ragazza a cercarlo. Eravamo preoccupati. «Ha visto dove è finito quel signore?» E il barista, sempre incazzato, indica la porticina. Busso sommessamente. «Tutto bene?». La sua voce sembrava quella di un dromedario. «No. Una tragedia. Mi sono cagato completamente addosso!» «E allora?» «Andate avanti voi... lasciatemi morire qua. Ci vediamo a Roma... fra cinque anni».  
 
     
   
   
 
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