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CURIOSITA'
  - LE 4 LEGGENDE - La leggenda di Gigetto
 
     
 
     
 
La leggenda di Gigetto
 
 
(di Paolo Villaggio)
 
     
  Ugo Tognazzi aveva fama di grande cuoco, fare la cucina era la sua salvazione, un parafulmine senza il quale sarebbe finito alla fossa dei serpenti di Colorno, il rinomato manicomio femminile che aveva ospitato la Cianciulli, la Saponificatrice, e Rina Fort, la belva di via Rivale. Era pieno di buona volontà, ma non aveva il minimo senso delle misure. Insomma, non aveva assolutamente la vocazione del cuoco. Solo una tragica voglia di farlo. Tragica perché seviziava i suoi ospiti. Gli ho visto fare fette di mortadella panata con prosciutto e scamorza e maial tonné. Gli ospiti nuovi si abbuffavano, poi scomparivano dalla circolazione per alcuni giorni; altri, per sempre. Un giorno mi ha telefonato: «Ho ucciso il maiale, faccio una cena». «Ma quale maiale? Non hai mai voluto un maiale a Velletri». «No. Difatti l'ho ucciso vicino a Faenza, con l'automobile». Era stato circondato da un gruppo di contadini inferociti con roncole e forconi. Aveva una spider, ed era tornato con il maiale morto cinturato al suo fianco. Lo aveva dovuto comperare. Conservava tutto quello che gli regalavano in un gigantesco refrigeratore a casa sua a Torvajanica. Una volta a Ferragosto nel menu ha scritto: colomba pasquale con fette di panettone natalizio alla panna acida, brodetto di fagioli con le cotiche all'osso di Gigetto. Gigetto era il maiale investito a Faenza quasi tre anni prima. La sua malattia proseguiva a passi da gigante. Aveva deciso di fare ogni venerdì la cena dei dodici apostoli. Aveva invitato dodici amici, fra i quali Benvenuti e De Bernardi, Mario Monicelli e altri. La cena si doveva chiudere con una votazione segreta. Queste le possibilità per ogni piatto: straordinario, ottimo, buono, sufficiente, cagata, grandissima cagata. Lui era rimasto durante tutta la cena sulla porta della cucina a spiare ansimando le reazioni dei commensali. Viveva un momento di tensione terribile. Alla fine è passato con un bacile d'argento. Era vestito da cuoco e leggeva il menu, e per ogni piatto diceva: «Signori, si vota!» e passava a raccogliere i biglietti. Alla fine prega Leo Benvenuti, che aveva la voce da attore, di leggere i risultati. Primo piatto: tre insufficienze, cinque cagate e quattro grandissime cagate. Secondo piatto: dodici cagate. Terzo piatto: due cagate e dieci grandissime cagate. Lui ha interrotto la votazione in silenzio, ha raccolto i biglietti e li ha chiusi in una busta. E io: «Ma che te ne fai?». «Lasciami perdere! Li porto da un grafologo». Sulla porta, quando stavamo andando via, si è accorto che Mario Monicelli aveva raccolto dei reperti della cena e gli ha domandato: «Dove li porti?». E Monicelli, feroce: «All'Istituto italiano di criminologia. Voglio sapere se si può fare qualcosa!».  
 
     
   
   
 
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