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TOGNAZZI E VIANELLO AL GIRO D'ITALIA |
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Anche Garinei e Giovannini avevano seguito il Giro, ma per la radio, non per la TV. Ugo e io facemmo "Giro a segno" con Italo Terzoli, che ci preparava qualche testo, e con Franca Tamantini; ma poi finiva che improvvisavamo quasi tutto: era ormai da due o tre anni che facevamo "Un, due, tre" ed eravamo affiatatissimi, oltre che molto conosciuti dal pubblico. Partimmo con un pulmino bianco della RAI, e al seguito avevamo anche un musicista, Cosimo Di Ceglie, perché Terzoli improvvisava delle canzoncine sui fatti del giorno. Ugo diceva: «Io faccio il tarantantan!». «Eh, no!» mi inalberavo io. «Troppo facile! Non vale che l'accompagnamento lo fai sempre tu! Imparati un po' le parole anche tu, non sempre io e la Tamantini!». |
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Partimmo da piazza Duomo a Milano su questo pulmino, e tutti ci dissero: «Come parte la carovana, voi scattate subito avanti, sennò vi trovate in mezzo al plotone, i ciclisti si mettono dietro di voi per farsi tirare, e vi trovate in un impiccio che non finisce più». Facemmo come ci era stato detto, ma partimmo male. Il pulmino era in rodaggio, e per quanto l'autista ci desse dentro dopo un po' avevamo i corridori in fuga che ci succhiavano le ruote, con i direttori di corsa che s'infuriavano: «Levatevi di mezzo!» gridavano, fischiavano... Così, arrivavamo che non avevamo visto niente. Dovevamo trasmettere entro un dato raggio dal traguardo, perché il ponte radio copriva un'area molto più limitata di quelli in uso oggi... per cui, se l'arrivo era lungo un vialone, facevamo la trasmissione dal distributore più vicino. |
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C'era anche un "dopo corsa": un rebus che veniva proposto come concorso per gli ascoltatori. Tognazzi disse: «Questo lo faccio io!». «Ma se neanche sai cos'è, un rebus! Lascia perdere, non è cosa tua: non ce l'hai, la mente strategica». Ma Ugo insistette, perché gli piaceva l'idea di ritrovarsi davanti al grande cartellone con la bacchetta in mano come un professore, un conferenziere, per interrogare su questo rebus tre concorrenti del posto... Però, davvero Ugo era tagliato per i giochi di logica come per le traversate oceaniche in solitaria. Una volta che si ritrovò davanti al cartellone, non lo sapeva decifrare. Allora cominciò a inveire dicendo infuriato: «Ohè, com'era questo rebus? Me l'avete cambiato! Non era così, stamattina!». E dopo la prima trasmissione, mi prese da parte e mi disse: «Da domani, il rebus lo fai tu». Non c'era proprio tagliato, Ugo, per le scienze esatte. |
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Le prime trasmissioni di "Giro a segno" erano un po' arrangiate, perché sprangati in questo famoso pulmino non vedevamo niente... Una volta (facevamo il Bracco, e io ero salito sulla macchina aperta della RAI insieme a De Martino) dalla folla che si assiepava ai margini della strada si staccò uno che sgolandosi mi chiamò: «Vianellooo! Vianelloooo!». Io mi dico: «Che facciamo, ci fermiamo?», ma bisognava fare le riprese, e poi temevamo anche di stabilire un precedente: la trasmissione era molto seguita, molto popolare, e se avessimo cominciato a fermarci ogni volta che qualcuno voleva un autografo non saremmo più andati avanti. Allora l'operatore disse: «Fermiamoci alla prima curva, così riprendiamo anche il plotone che viene su». Così facemmo, e questo omino arrancò per un chilometro di dura salita alla nostra volta. Quando finalmente fu lì, m'abbracciò stretto stretto, poi col fiatone mi disse: «Però fate proprio schifo, eh?». Fu perfetto: c'era la popolarità, l'affetto, l'ammirazione per quelli di "Un, due, tre", ma anche l'equanime giudizio critico sulla nostra trasmissione. Perfetto. |
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Rovesciammo la situazione con una parodia della rubrica del giornalista De Martino: era un po' calvo, e lo imitavo calzando una calotta della quale adesso non avrei bisogno. De Martino era un grande entusiasta, il giornalismo sportivo in quegli anni tendeva al tono epico, altisonante, e io lo prendevo in giro. Ugo faceva Bartali. Si metteva di profilo, coi capelli lisciati sul capo come Ginettaccio... fu grazie a quell'esperienza al Giro che con i nostri autori, Scarnicci e Tarabusi, inventammo il tormentose di «gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare!» che poi Gino usò come titolo di un suo libro. Bartali, che come si sa era un toscanaccio, lo diceva di tanto in tanto: ma fummo noi, con la nostra parodia, a trasformarlo nel marchio di fabbrica, nel leitmotiv di Gino Bartali. Oltretutto, il tormentose risaltava di più grazie al contrasto con la parodia di De Martino, sempre entusiasta di tutto, di alata eloquenza... Lì nacque anche "Gregorio il gregario", un divertente personaggio che avremmo portato anche in "Un, due, tre": e queste rubriche fisse cominciarono a salvare la trasmissione. |
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Il ciclismo era una grande epica popolare: l'epica della fatica. Allora, anche la televisione era un fatto collettivo, la si vedeva nei bar, a casa dei pochi che l'avevano; mettendo insieme queste due dimensioni, ne usciva una grandissima popolarità. |
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Finito il rodaggio delle prime puntate, cominciò a montare l'entusiasmo della gente per noi due, la coppia Tognazzi e Vianello che s'identificava, grazie anche alla coincidenza delle iniziali T.V., con l'epica popolare della televisione ai suoi esordi. Cartelli lungo la strada, scritte per terra «Viva T.V!» eccetera. I corridori, ma soprattutto i giornalisti, erano un po' seccati perché senza lavorare, con quattro lazzi, gli rubavamo la scena. Tant'è vero che Orio Vergani scrisse un articolo intitolato: Lo sport cambia indirizzo. Alla prima occasione, al ristorante, io andai al suo tavolo a chiedergli: «E che ci dobbiamo fare, noi?». Così stabilimmo una tregua. In effetti, il pubblico cominciava a chiedere ai corridori: «E Tognazzi e Vianello dove sono?». Quelli, con la fatica che facevano, un po' si seccavano. |
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Dopo un po' lasciammo perdere il pulmino, sul quale rimasero solo la Tamantini e Terzoli, e noi salimmo in moto, così perlomeno vedevamo tutto. Ricordo che un giorno, per evitare l'assalto degli autografi, mi bendai la mano e mi misi il braccio al collo. Tognazzi mi vide arrivare così, e il giorno dopo arrivò col braccio al collo anche lui. «Ma dai! Così ci beccano!» Solo Ugo poteva farne una così... |
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Dopo aver smesso il pulmino, si stava molto di più con i corridori; passavamo insieme la mattina, perché non si era più costretti a partire troppo presto... una volta che stavamo per arrivare a Riccione, Coppi mi avvicinò e mi chiese di informare la Dama Bianca, la cui esistenza era ancora segretissima, che doveva aspettarlo all'arrivo della tappa successiva. Ma forse erano anni completamente diversi... bisognerebbe rileggere la storia di Coppi e della Dama Bianca e risalire all'anno di questo aneddoto. |
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Arrivò la famosa tappa del Monte Bondone, sopra Trento. Era una tappa durissima con l'arrivo in salita. Fin dal mattino cominciò la pioggia e il nevischio. Faceva un freddo tremendo: ricordo che dopo un po' non ne potevo più di stare su quella moto. Vista la situazione d'emergenza, cercavamo anche noi di dare una mano; e Coppi, che si era ritirato dopo una caduta, mi disse: «Fermiamo tutti quelli della mia squadra. Li facciamo rifugiare nelle case dei contadini, mettono le mani nell'acqua calda, si riprendono un po' e poi tornano in corsa; tanto recuperano anche se perdono mezz'ora, perché in queste condizioni chi non si ferma poi la paga». Allora andai a recuperare tutti questi della Carpano, e ci volle del bello e del buono per convincerli che non era uno scherzo, ma un ordine del loro capitano. |
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Poi salii sull'auto di Baracchi, l'industriale di Bergamo che aveva organizzato il trofeo che porta il suo nome; ogni tanto accoglievamo qualche corridore stravolto per il freddo e la fatica, lo facevamo sedere in macchina caricando la sua bici sul rack, gli davamo una tazza di té caldo... Dopo sei o sette chilometri, però, questi volevano scendere e riprendere la corsa. «Ma non si può, hai fatto non si sa quanti chilometri in macchina!». E chi ci stava a sentire? Quelli scendevano e ripartivano. |
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All'arrivo di questa famosa tappa, il dirigente di una squadra mi chiese di raggiungere un corridore in fuga per dirgli di aspettare un suo compagno di squadra che lo stava raggiungendo: in due ci si può aiutare, in fuga. Io andai, mi affiancai con la moto e glielo dissi. Questo mi fa: «Ma è vero?». Io glielo garantii, lui si voltò indietro, slittò e patapàm! Lungo disteso. «Dai gas! Dai gas!» dissi frenetico al guidatore della motocicletta, e andai in fuga io, mentre lo sfortunato restò lì fino all'arrivo del gruppo. |
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Ricordo che Fiorenzo Magni s'era rotto una spalla, e controllava il manubrio aiutandosi con una fettuccia di tela stretta fra i denti: andò su così, e arrivò secondo. La vinse Gaul, quella tappa terribile... quando arrivammo sul Bondone avevamo quattro o cinque ore di ritardo sulla tabella di marcia. All'altezza del traguardo ci accolse una nube quasi solida di odore di grappa: gli astanti, pubblico e gente del Giro, ci aspettavano da sei o sette ore in un freddo polare, e si erano scaldati bevendo come una brigata di alpini. |
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C'erano tutti gli inviati e i giornalisti; e Ugo mi disse: «Dai, facciamo una cosa un po' patetica...». «Il patetico no» mi lamentavo io, «col patetico io mi vergogno». C'era questo Carrea, un gregario dal caratteristico nasone, e allora Ugo disse: «Oggi, i corridori salivano sotto la neve, sotto la bufera, con una volontà, con uno stoicismo, con un coraggio così grandi da diventare belli come sono belli tutti gli eroi! Oggi, perfino Carrea è diventato bello!». E mi guardò come per dirmi: «Perdono! Lo so che ho esagerato!». Tutti i giornalisti si misero in fila per stringerci la mano. «Siete stati grandi!» ci dissero, accogliendoci nella fratellanza del giornalismo sportivo: e non s'erano accorti che li prendevamo in giro. Mah! Proprio per questo tono un po' sopra le righe del giornalismo sportivo di allora, io parodiavo sempre, con amicizia e stimandolo, De Martino. Qualche tempo fa suo figlio, anche lui giornalista sportivo, mi ha premiato, con i giornalisti milanesi, per la mia conduzione di Pressing; e in quell'occasione mi disse che suo padre aveva un buon ricordo di quelle mie imitazioni... |
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Anni dopo, Nino De Filippis, un ciclista che è stato anche campione italiano, mi venne a trovare in teatro e mi disse: «Senta, io la devo ringraziare. Ho visto una foto sui giornali in cui ero sdraiato ai margini della strada e lei mi stava soccorrendo. Allora non ho potuto ringraziarla perché ero mezzo svenuto; colgo l'occasione per ringraziarla adesso». |
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