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CUCINA
  - STAMPA DI CUCINA - La "Nouvelle Cuisine" assaggiata da Tognazzi
 
     
 
     
 
La "Nouvelle Cuisine" assaggiata da Tognazzi
 
 
 
Le salse, la panna, i vini... e la gastrite. Nel suo viaggio attraverso la cucina francese, Tognazzi ha imparato molte cose. Giura che gli serviranno per migliorare quella italiana
(Europeo, 18 Gennaio 1982)
 
     
  A un certo punto si è sentito male. Ugo Tognazzi a Parigi, ospite gastronomico del governo francese, condannato a mangiare in grande a pranzo e a cena. La crisi è arrivata al Pré Catelan, lo stupendo padiglione-ristorante di Gaston e Colette Lenòtre, un tempio della «nouvelle cuisine» d'oltralpe, una sorta di grande battello bianco arenatosi in mezzo al Bois de Boulogne, decorato dal disegnatore della Belle Epoque Caran d'Ache. Molti non la definirebbero una «vera» crisi: dopo la fricassea di scampi al caviale e un rombo alle erbe con salmone e vino di Bordeaux («Un piatto che mi ha deluso», commenta Tognazzi in vena di sofisticherie), il nostro Ugo ha saltato la sfoglia di pollastra con fegato d'oca e tartufi neri. Si è ripreso solo per il dessert: la famosa «simphonie» dei Lenòtre, che sui loro dolci hanno scritto anche un libro. «Ma ero proprio di malumore», afferma Tognazzi, «Mi aspettavo qualcosa di più». Tognazzi che mangia a crepapelle in Francia è "La grande abbuffata", il film di Ferreri: «Ma lì mangiavo per morire! Io invece voglio vivere: mangio per vivere e vivo per mangiare, con misura, per degustare». Questa storia del degustare appassionata di Tognazzi, tanto che ha deciso di dirigere una rivista, la "Nuova Cucina" (stessi editori della più famosa «Cucina Italiana»), che ha voluto definire «rivista del buongusto». Il suo nuovo ruolo richiede gravi fatiche gastriche e intellettuali. Ce ne ha parlato nella sua casa romana, in piazza dell'Oro. Per un degustatore, lo scontro con la Francia, per quanto duro, è inevitabile, com'è inevitabile lo scontro tra la grande cucina tradizionale e quella nuova. Nel suo viaggio Tognazzi le ha provate ambedue: dalla Tour Rose (nuova cucina) di Lione, al prestigioso Taillevent, il tempio in cui Jean-Claude Vrinat difende per il palato dei parigini le glorie tradizionali. «Io preferisco il Petit Truc, un ristorantino di Vignoles, a sei chilometri da Beaune, al centro della Borgogna. È un ristorantino tutto di donne, perché la proprietaria Edith Remoissenet dice che gli uomini fanno confusione. Ma la sua cucina è un aggiornamento delicato di vecchie ricette. È la formula migliore. Ci ho mangiato le lumache al gratin con patate, pollo all'aceto e un gelato al cassis. Ci vengono anche i grandi cuochi per rinfrescarsile idee e l'immaginazione». La grande cucina dei ristoranti non è solo un fatto di gusto, è anche un buon affare, e per questo bisogna rinnovarsi. Non a caso i numi tutelari della «nouvelle cuisine», da Paul Bocuse a Michel Guérard, parlano di necessità di «rinnovare l'interesse», e sembrano predire un certo riflusso, dalle carni crude o poco cotte, le salsine di sola verdura e gli arditi accostamenti di sapori, verso le vecchie e pesanti salse tradizionali. «Ma no», interrompe Tognazzi, «è soprattutto un problema gastrico. La vecchia cucina era per eroi dello stomaco. Come chi vuole mescolare troppi vini: ogni piatto la sua bottiglia. Se mescolo tre tipi di vini mi sono rovinato la giornata e la digestione. Gastrici siamo un po' tutti». E allora lasciamo parlare un po' liberamente Tognazzi. Tema: la nuova cucina. «Guardi, la nuova cucina è la difesa dei disturbi naturali, anche dei disturbi nervosi, delle troppe medicine: del mangiatore dell'età moderna. Certo non bisogna esagerare. Questa storia dei bei colori, ad esempio: ci sono piatti che sembrano quadri di Mondrian, di Pollock: per comporre bei colori, si sa, servono le verdure, e in particolare la frutta. Io non sono contrario alla frutta con la carne, al dolce o all'agrodolce. Ma viene prima il palato e dopo l'occhio. L'occhio vuole la sua parte, però non tutta la scena. Un pranzo tutto di nuova cucina? No. Il cliente uscirebbe insoddisfatto. Non ha l'impressione di aver mangiato veramente. Di essere sazio di sapori e di sostanza».  
     
     
  E malgrado la filosofia della degustazione questa storia della sazietà è importante, no? Cosa le è mancato di più in Francia?  
     
  «I primi, i primi sono il grande primato, la gloria da difendere della cucina italiana. Loro le salse le fanno a parte, noi le mettiamo nei nostri primi. Vuol mettere, con le lumache alla borgognona, che bel risotto? E poi il minestrone, la gloria dei nostri minestroni! Cos'è il "potage" dei francesi? Ha solo il prestigio di aver fatto scomparire gli ingredienti rendendoli bevibili».  
     
     
  Però la cucina italiana è pesante, quasi più pesante di quella francese.  
     
  «No, non lo è»  
     
     
  Ma la pasta, ad esempio, fa ingrassare o no?  
     
  «Ingrassare, certo, ci sono carboidrati, ma nel rapporto... bisogna vedere. I francesi non mangiano la pasta ma si inzeppano di antipasto, o di entrée, e ci mangiano il pane, no? E il pane sono carboidrati. Un panino equivale a una porzione di pasta... Il pane c'è sempre anche perché il "foie gras" è più buono così. E le insalate? Con i fegatini, con la carne, con il pesce: il pane le esalta. Anche la carne si mangia con il pane. E il formaggio? È lo strapane. Altro che pasta...».  
     
     
  Però l'Italia è anche la patria di brutte manie, come quella della panna, per esempio...  
     
  «Ma la panna non è il diavolo. Dopotutto la panna è come il burro. Si ricorda il burro doppio burro? Il burro tutta panna? Non c'è più, ma il vero burro è al 90 per cento panna. E non c'è vero risotto mantecato senza un tocco di burro fresco alla fine. E in qualche caso ci sta bene la panna. Non su un risotto col pesce intendiamoci, né in genere sugli spaghetti di grano duro, ma sulle paste fresche... è come nelle salse dei francesi, che si possono accomodare con un po' di panna (o di burro), dargli quell'untuosità... noi le salse le cuociamo assieme col cibo, è più complicato, gli aggiustamenti possono essere essenziali».  
     
     
  Però così, di aggiustamento in aggiustamento, lei mi difende tutti i prodotti industriali. E la vera cucina allora? Quella «genuina»?  
     
  «C'è prodotto e prodotto. E c'è tecnica e tecnica. Alcune sono da usare anche per salvare la cucina. Se no, sai che merluzzi! Ho fatto recentemente un viaggio in Spagna, un po' come quello in Francia. Ho assaggiato tutte le cucine. Buone, ma pesantissime, altro che Italia. E quella che mi è piaciuta di più è stata quella basca, che sarebbe anche la più pesante, ma lo chef che ce l'ha ammanita è un vero artista, e l'ha resa leggera. Questo non è tradimento, è vera gloria. Prenda ad esempio il baccalà mantecato alla veneziana. Quello sì che è un bel merluzzo. Buono ma in sostanza... filetti di baccalà poco cotti, appena sbollentati, soprattutto strapestati, con dentro lo stra-aglio, l'olio e buonanotte, Sono buoni perché sono così, con i loro filamenti? Non si può essere in assoluto contro il frullatore. Io faccio il baccalà che non sarà alla veneziana, ma al modo mio, nel frullatore, diminuendo l'aglio con dell'olio leggerissimo (ligure per esempio), aggiungendo persino della panna e del formaggio: e poi invece di due sleppe di polenta ammazzacristiani preparo dei crostini di polenta, non fritta, ma leggermente abbrustolita. È raffinatissimo, è delicato, è grande cucina, è la salvezza... Il Nord ha scoperto da poco la melanzana. Certo non ci saranno le arance a Milano o la verza gelata a Palermo (quella che serve per il botaggio dei lombardi). Ma ora finalmente si può mescolare, ingentilire. Quasi tutta la cucina italiana ignora il pepolino (il timo) perché lo usano soli in parte della Toscana, e invece è utilissimo, al posto della salvia o del rosmarino. Io faccio una minestra coi carciofi, piselli, patate e invece del formaggio ci metto un pizzico di origano. Mica è obbligatorio il formaggio? Lì l'origano è il vero legame, quello che esalta e unisce i sapori. Abbiamo una grande cucina, anche migliore e più fantasiosa di quella dei francesi ma va scoperta. va resa nazionale. La nostra cucina regionale è stracostosa: è eccessiva. Facciamo le zuppe di pesce: e sono buonissime. Ma il pesce azzurro? Perché solo ricette mediocri per le sarde? E invece ci sono le sarde in beccafico, un grandissimo piatto siciliano, in agrodolce, con l'uvetta, i pinoli, un profumo di arancio... Certo ci vuole la presentazione: se si sbattono là due filettacci di sarda e ci si versa sopra la salsa...».  
     
     
  La buona cucina comincia al mercato. E i mercati francesi? Sono meglio di quelli italiani?  
     
  «No. Io ho un appuntamentino a Parigi. E sotto, in via Mouffetard, dietro al Panthéon e alla Sorbonne, ho tutte le mattine un mercato bellissimo. Ma in più ci sono poche cose: i prodotti tropicali, ad esempio, o quelli dell'Algeria. La differenza è negli acquirenti: i grandi cuochi hanno sempre la precedenza. Gli riservano i prodotti migliori. E il pubblico, poi, acquista un po' di tutto. Non ci sono rimanenze a fine giornata, perché i francesi hanno imparato a mangiare magari poco, ma con più sapori».  
     
     
  Tognazzi, a questo punto lei ci sembra chiaramente partito... Torniamo alla realtà. La gastrite...  
     
  «Le pillole! Ho fatto un discorso sulle pillole in Spagna. Ne ho dato le ricette, quelle contro i bruciori, quelle contro l'aerofagia... le ho descritte bene: ci sono quelle che si sciolgono in bocca, quelle croccanti e profumate...».  
     
     
  Lei vuole invadere e sgominare anche le farmacie! E le diete, allora, le diete dimagranti...  
     
  «Le diete, già le diete. Sto per fare una dieta. Non da solo però. Ho bisogno di complici. Questa volta vado con un amico, Marco Ferreri».  
     
     
  Ferreri? lo stramangione?  
     
  «Ebbene sì, proprio lui. Ma questa volta andiamo a dimagrire sul serio. Andiamo in Francia, a Quiberon, nella clinica messa su da grande ciclista Louison Bobet. E ci andiamo perché in quella clinica non sacrificano al dimagrimento l'esigenza gastronomica. Si mangia poco, ma bene. Niente orrendi infusi... Anzi ho in programma tutto un viaggio, per la mia rivista, voglio fare il giro gastronomico del regime dietetico: come dimagrire salvando il palato. So già però chi avrà la stella. Certo andrò a Marbella, in Spagna...».  
     
     
  A Marbella? Ma è un errore! C'è la stupenda clinica Buchinger dove tra il verde e le piscine vige però il digiuno assoluto...  
     
  «No. Non Buchinger. Quello no. C'è n'è anche un'altra, però, dove si mangia. Dove sono buoni cristiani. E poi c'è il grande Michel Guérard, a Eugénie Les Bains, che accanto al suo albergo-ristorante di nuova cucina ha una clinica dove applica i principi della sua cucina dimagrante. Ci ha scritto anche un libro... per esempio ha la trovata stupenda del formaggio magro, che sostituisce il burro e la panna, ma riesce lo stesso a dare sostanza alle salse... può essere meraviglioso: l'aragosta dimagrante! Certo, se ne mangeranno solo due medaglioncini, una porzione appena visibile, ma il palato sarà soddisfatto!».  
     
     
  Non c'è scampo. Il degustatore ha sopraffatto anche le tetre diete dimagranti. E allora va tutto bene, gastrite, pancia...  
     
  «Guardi che ognuno è quello che è. Io mi sono scelto un hobby che non a caso mi crea un po' di confusione. Mi mette in tensione. Amo i piaceri della cucina e ho uno stamaco delicato, e questo mi permette di equilibrare il tutto. Se non avessi la gastrite sarei grassissimo... o magrissimo. Perché sarei costretto a non mangiare mai».  
     
     
     
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