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CURIOSITA'
  - UGO E IL CALCIO - Ugo e il Milan
 
     
 
     
 
Ugo e il Milan
 
 
 
«Sono Milanista dal giorno del battesimo e alla causa rossonera ho sacrificato perfino un menisco»
 
     
     
  Da quando sei tifoso del Milan?  
     
  «Dalla nascita. Avevo uno zio tifosissimo del Milan. Uno di quelli che fanno la storia del tifo calcistico. II giorno che ricevetti il battesimo, senza che nessuno se ne accorgesse lo zio milanista legò i miei... attributi maschili con un nastrino rossonero. E io sono andato in chiesa col mio bel «cazzettino» legato, sotto il coprifasce di pizzo bianco. Quando poi me lo hanno detto, ricordo che ho pensato: meno male che era maschio, quello era capace di mettermi una bandierina!».  
     
  È stato il nastrino rossonero a influenzarti?  
     
  «Anche. Non potevo non seguire le orme di uno zio così simpatico, lui da tifoso era diventato socio e poi è stato anche un dirigente del Milan. Con lui andavo alla partita ogni domenica, a Milano o in trasferta. Dovunque giocasse la squadra, noi eravamo là col sole o le intemperie».  
     
  E mentre gridavi «Forza Milan!» con la bandiera, il cappellino, la sciarpa e il cuscino rossoneri non giocavi a pallone?  
     
  «Sempre. Ho iniziato verso i dieci anni. Vivevo a Milano a Porta Vittoria e giocavo coi compagni tutto il giorno nel piccolo prato di fronte a casa, davanti al palazzo del ghiaccio. Allora c'erano quei campetti per giocare prima che arrivasse... Berlusconi a fare Milano due e tre e sette...».  
     
  Qual era il tuo ruolo di giocatore?  
     
  «In porta. Ero praticamente un genio. Nessuno mi chiamava Ugo, ero per tutti Zamora che era della Spagna. Il più grande portiere del mondo, il massimo. Verso i diciassette anni tornai a Cremona con la famiglia e con la mia enorme passione per il calcio. Intanto ero uscito di porta, giocavo tra l'ala sinistra e il mediano».  
     
  Ed eri sempre un giocatore geniale?  
     
  No, ero una schiappa. Nessuno mi avrebbe fatto giocare e per poterlo fare ho fondato una squadra, la «Bonizzoni calcio». La chiamai così dopo un viaggio a Milano da Giuseppe Bonizzoni, terzino del Milan, per informarlo della squadra col suo nome e chiedere undici magliette, undici paia di scarpe e un pallone. La squadra, quindi, sfoderava la divisa rossonera. C'erano giocatori bravissimi che quasi subito passarono alla Cremonese. Io fui messo fuori squadra...».  
     
  Con dolore?  
     
  «Con grande dolore, ma avevo avuto la fortuna o la sfortuna di avere Ia malattia dei grandi campioni senza essere un campione. Cioè il menisco rotto. Ed essendo io uno che comunque avrebbe trovato il modo di non essere uno dei cinquantamila abitanti di Cremona, abbandonati i sogni del giocatore ho iniziato con quelli dell'attore. E non ho più avuto bisogno dell'équipe di undici persone. Ho fatto da solo».  
     
 

E quindi iniziando la carriera d'attore hai abbandonato il calcio per sempre?

 
     
  «No, no. Io ho sempre giocato, e sono subito tomato in porta. Ogni anno nella compagnia di rivista si formava una squadra di calcio. I fautori eravamo io e Raimondo Vianello, si giocava in ogni città, ogni giorno libero: contro la squadra locale, contro quella di un'altra compagnia di teatro, contro i giornalisti, contro chiunque. Facevamo compagnia con Elena Giusti e c'erano i boys, Otto o dieci. Io e Vianello, scavalcando il coreografo, facevamo una prima scelta mandandogli quelli che sapevano giocare a pallone. Avevamo i boys più scadenti d'Italia perché le cose davvero non si conciliavano: un ballerino può essere un buon pederasta, ma difficilmente un buon calciatore. I nostri giocavano benissimo».  
     
 

Crescendo capita di cambiare voto e partito. E la squadra del cuore?

 
     
  «Il Milan per me è stato prima la mamma, poi Ia fidanzata e poi la moglie. La moglie si tradisce e quindi tradimento c'è stato. Quando la Cremonese è passata in serie A non potevo non partecipare ai trionfi cittadini, ero innamorato, mi dividevo tra moglie e amante con grande imbarazzo quando giocavano fra loro. Proprio come accade quando a una festa le due donne si incontrano e non sai dove guardare anche se parteggi per I'amante che in genere è più giovane e più fresca... La Cremonese è ritornata in B e io ho abbandonato quell'amore impossibile».  
     
  Oggi come segui il Milan?  
     
  «Alla televisione, certo se gioca a Roma o se sono a Milano vado allo stadio. Il resto lo fa mio figlio: per il Milan corre dovunque e ogni volta mi costa trecentomila lire».  
     
 

Lo compreresti il Milan?

 
     
  «Se fossi Berlusconi, si. Voglio dire che se fossi come lui, mi sarei senz'altro comperato la squadra del cuore. Io sono un grande estimatore di Berlusconi imprenditore, ero in Francia al momento della battaglia per "La Cinq". Non ho fatto che litigare con quei francesi, ero un vero italiano incazzato».  
     
 

Come hai seguito i mondiali?

 
     
  «In Messico, ero Ià perché c'era contemporaneamente un festival cinematografico. Ho visto tutte Ie partite dell'Italia, con malinconia, tristezza e rabbia. Mi sono sentito come si sente un cornuto».  
     
 

Secondo te sono troppo pagati questi ragazzi del pallone?

 
     
  «Io sono un vero tifoso, mi preoccupo solo che giochino bene. Se giocano male qualunque paga è troppo».  
     
 

Hai mai litigato con qualcuno per il Milan?

 
     
  «Si, certo, allo stadio, ma solo a parole con esclusivo riferimento alla donna che ci accompagna, alla mamma e sorella che sono a casa... ».  
     
 

Faresti l'amore con una tifosa dell'Inter?

 
     
  «Se “scopa” bene sì. Se tifa bene a letto per me, allo stadio faccia pure quel che vuole....».  
     
  (intervista a cura di Azzurra)  
     
     
     
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