Famiglia
APPROFONDIMENTI
Thomas Robsahm
Quali erano i tuoi rapporti con tuo padre?
Papà l’ho incontrato per la prima volta quando avevo sette anni. In verità l’avevo incontrato anche prima, ma naturalmente non potevo ricordarmi visto che avevo due anni. Dopo il divorzio, Margarete, mia madre si era risposata e aveva avuto una bambina, ma io non ho saputo di avere un padre diverso da quello di mia sorella sino ai sei anni. Credo sia stata mia nonna a dirmelo senza pensarci e quando l’ho saputo ho chiesto a mia madre se era vero. Lei mi ha detto di sì e mi ha dato una foto di papà, che ho tenuto sul mio letto, non so, per un anno, un anno e mezzo. Poi ho chiesto a mia madre quando avrei potuto vederlo e così lei ha organizzato un incontro che è avvenuto in Ungheria, in un albergo.
Come andò quell'incontro? Come si comportò tuo padre?
Fu una cosa strana, molto particolare, ma ci fu subito un contatto tra noi due, anche se io non conoscevo l’italiano. Sei mesi dopo, credo, sono venuto per la prima volta in ltalia per passare l’estate con lui. Mi ricordo che siamo andati nel suo appartamento a Piazza dell’Oro, in centro, e appena siamo arrivati lui ha iniziato ad insegnarmi qualche parola scrivendo su una lavagna. Mi ricordo che una delle parole era “pipì”. Quando poi siamo andati a Torvajanica, dove passavamo l’estate, ero da solo con lui in macchina e mi ricordo che a metà strada dovevo fare la “pipì” ma non avevo il coraggio di dirlo in italiano, anche se sapevo la parola… Alla fine lui ha capito e si è fermato…
Quando siamo arrivati a Torvajanica ho incontrato per la prima volta Gianmarco: l’idea di Franca e Ugo era quella di non raccontare subito che io ero suo fratello, avevano deciso di dirgli che ero un amico venuto per passare l’estate. Ma io e Gianmarco, anche se non conoscevo l’italiano, siamo subito diventati amici e, dopo appena due ore che giocavamo, a un certo punto Gianmarco, che aveva solo quattro anni meno di me, mi ha messo un braccio sulla spalla e, rivolto a Franca e Ugo, ha detto «ma non sembriamo due fratelli?». E così hanno dovuto spiegare anche a Gianmarco la situazione che io già conoscevo. Da allora io sono venuto due volte all’anno in Italia a passare l’estate e il Natale e qualche volta anche la Pasqua con la mia famiglia italiana…
Tuo padre sapeva tenere insieme questa grande famiglia, un po' come fosse un patriarca...
Naturalmente, non accadeva troppo spesso che tutta la famiglia fosse riunita. Quando arrivai io già Ricky non c’era e molto spesso, quando io ero a Roma, papà era fuori per lavoro. Comunque lui non era uno di quei padri che cambia i pannolini o cose del genere. Quando non lavorava stava molto spesso in cucina. A parte con Ricky, del resto, non era neanche uno che parlava moltissimo con in suoi figli: mi ricordo che quando arrivavo avevo sempre tante cosa da raccontargli, ma lui molto spesso non aveva il tempo di sentire tutto. Però stavamo lo stesso molto bene insieme e secondo me Franca è stata molto brava a riuscire a tenere unita la famiglia anche se avevamo madri e padri diversi e tutta quella situazione familiare incasinata…
Come si erano incontrati tua madre e tuo padre?
A Cannes nel ’61, lei portava al “festival Line” un film di cui era protagonista e che è stato un grandissimo successa in Norvegia.
Quanto ha influito tuo padre nella tua scelta di intraprendere una carriera cinematografica?
È difficile sapere esattamente perché uno sceglie di fare la stessa cosa dei genitori, perché quando ero piccolo la cosa più importante per me era il calcio e non ero interessato al cinema. Certo, mi ricordo che ogni tanto andavo sul set con papà e mi ricordo anche che a casa circolava molta gente del cinema, come Bertolucci, e io quando si parlava di lui pensavo che fosse il tennista… o Ferreri, Leone, ma io non sapevo chi fossero. In Norvegia, del resto, papà non era molto famoso, anche se “La grande abbuffata” è stato un successo e quando se ne parlava tra amici io quasi non avevo il coraggio di dire che tra gli interpreti c’era mio padre… In Norvegia, del resto, noi avevamo una vita diversa: mia madre non aveva tantissimi soldi, avevamo una casa molto semplice e io frequentavo gente diversa da quella che c’era in Italia a casa di papà. Anche lei lavorava nel mondo del cinema, prima come segretaria di edizione e poi come regista. È stata lei a farmi esordire come attore, quando avevo otto anni, nel ’72, dopo la mia prima estate in Italia: quando sono tornato, lei doveva fare un nuovo film come protagonista (Fem dogn i august, n.d.r.) e siccome il suo personaggio aveva un figlio, hanno scelto me. E ogni volta che rivedo quel film mi ricordo della mia prima estate in Italia, perché indosso una maglietta del Milan che mi aveva dato papà. Da allora ho messo sempre il Milan nei miei film, c’è anche in “S.O.S.”, quello che ho fatto con Gianmarco. Dopo di che ho interpretato tre piccoli ruoli da ragazzino e anche uno da protagonista nell’83, quando avevo 19 anni (Apen framtid, n.d.r) e ho iniziato ad interessarmi sempre più a quello che succedeva dietro la macchina da presa.
Del resto non ho mai avuto l’ambizione di diventare attore, volevo piuttosto fare il regista, e infatti già un paio d’anni prima avevo fatto l’assistente del segretario di edizione. Così piano piano sono arrivato a fare il mio primo film da regista, nell’ ’86, un cortometraggio che s’intitolava “Il club delle pistole”; poi altri cortometraggi e infine il primo lungometraggio, nel ’92, “Svarte pantere” (“Pantere nere”, n.d.r.), cui sono seguiti altri corti, qualche lavoro per la televisione e, infine, l’attività di produttore attraverso la mia casa di produzione, che si chiama “Speranza Film”, con la quale nel ’99 ho finalmente realizzato “S.O.S.” insieme a Gianmarco, che corona un sogno che io e mio fratello abbiamo coltivato per anni, anche prima che morisse papà. Ora sto lavorando al missaggio del mio nuovo film “Det sterste i verden” che tradotto in italiano significa più o meno “La cosa più grande del mondo”, un film in costume, abbastanza costoso, che esce ad agosto.
E tuo padre cosa pensava della tua attività cinematografica?
I primi due cortometraggi che ho fatto li ho tradotti in italiano e portati in ltalia solo per farli vedere alla mia famiglia e specialmente a papà, naturalmente. La cosa strana è che, molto spesso, quando io volevo far vedere i miei film a mio padre, succedeva qualcosa… Quando venne in Norvegia per assistere alla prima del film in cui avevo una parte, la serata ebbe luogo nel più grande cinema di Oslo, che si chiama “Il Colosseo”, di sicuro uno dei più bei cinema d’Europa, e lui fu colpito da questa anteprima molto esclusiva. Però poi non conoscendo la lingua e, diciamoci la verità, essendo il film una commedia non troppo divertente, accadde che lui durante la proiezione si addormentò… E iniziò pure a russare… La seconda volta è stata quando il mio primo film da protagonista, “Apen framtid”, fu presentato al Festival di Sanremo e ci siamo trovati tutti lì per la proiezione. Ma la maschera sbagliò a dirci l’orario dello spettacolo, sicché noi andammo a prendere un gelato e tornammo che ormai mancavano solo venti minuti alla fine del film… Poi lo ha visto in cassetta con i sottotitoli, ma era difficile per lui giudicare il mio lavoro. La terza volta è stato a Spoleto, quando un mio cortometraggio è stato presentato in un piccolissimo festival, ma anche lì senza sottotitoli in italiano. Ci pensai io a tradurre per lui i dialoghi, ma anche quella volta sentivo che lui non riusciva a giudicare il lavoro, anche se mi disse che era carino. Però successe che, tornando da Spoleto, guidava Gianmarco, che aveva da poco la patente, e siamo andati a sbattere… Così quella sera l’abbiamo ricordata più per l’incidente che per il film… Infine, l’ultima volta che papà ha visto uno dei miei lavori abbiamo organizzato la proiezione a Velletri, dove papà aveva una saletta di proiezione col proiettore 35mm e quella è stata la prima volta che siamo riusciti a fare questa cosa per bene, senza disturbi…
Tu naturalmente hai visto molti film di Ugo: cosa ne pensi come interprete? Qual era secondo te, la sua qualità principale?
Anche se non fosse mio padre, tra gli attori italiani Ugo sarebbe stato uno dei miei preferiti. Nei film comici era molto divertente, poi quando ha iniziato a fare ciò che sentiva di più, dei ruoli più seri, ha mostrato un altro talento, quello di un uomo molto sensibile. Per me il suo film più bello resta “La tragedia di un uomo ridicolo” di Berrolucci. Di recente ho rivisto “Il vizietto” e l’ho trovato qualcosa di più di una semplice commedia. Credo comunque che lui avesse il talento per fare molto di più sotto l’aspetto drammatico, ma purtroppo non è successo.
Cosa rimpiangi di lui?
Mi mancano prima di tutto i pranzi, le cene, quando eravamo tutti insieme e lui aveva sempre qualcosa da raccontare. Era una persona speciale, se entrava in una stanza dove c’erano quaranta persone tutti capivano che aveva qualcosa di particolare, e questo succedeva anche in Norvegia, figurati in Italia. Era un uomo molto affascinante. E poi c’era la cucina, dove era veramente un mago: anche quando sono diventato vegetariano, non so quante cose buonissime preparate da lui ho continuato a mangiare.
In cucina era un buon maestro? Vi ha insegnato a cucinare?
Una volta mi ha regalato un suo libro di ricette e nella dedica mi ha scritto: «A Thomas, con la raccomandazione di imitarmi solo in questo». Qualche segreto di cucina, comunque, lo ha insegnato un po’ a tutti. Quanto a somigliargli, credo che Ricky sia quello che fisicamente gli è diventato più simile, ma sono convinto che invecchiando io gli somiglierò ancora di più. Del resto mi è già in arrivo il quarto figlio…
NOTE
Nato il 29 aprile del 1964 a Arendal in Norvegia, dall’unione di Margarete Robsahm e Ugo Tognazzi, Thomas Robsahm è produttore, sceneggiatore e regista. Esordisce sulIo schermo a otto anni, interpretando accanto alIa madre “Fem dogn i august” (1972), cui seguono altri piccoli ruoli (tra cui “Lasse & Geir”, 1976; “Det Tause Flertall”, 1977; “Julia Julia”, 1981). Nell’83 è protagonista di “Apen framtid”, seguito nelI’85 da “Adje solidaritet” e, nell’86, da “Makaroni Blues”. Dopo alcuni cortometraggi, nel ’92 esordisce nella regia con “Sverte Pantere”, cui seguiranno “Myggen” (1996), “S.O.S.” (1999, anche sceneggiatura; interpretato da Gianmarco Tognazzi) e “Det sterste i verden”, in uscita nell’estate del 2001. Nel 1998 ha fondato una sua casa di produzione, la Speranza Film, con la quale a tutt’ oggi ha realizzato otto film. Lanciata nel 1961 da un film norvegese di grande successo intitolato “Line”, Margarete Robsahm è un’attrice norvegese che ha avuto una breve ma intensa stagione anche in Italia. Tognazzi la ebbe nel cast del suo primo film da regista, “Il mantenuto” (1961), dove interpretava Carla, la segretaria del conte Losi, il datore di lavoro del protagonista. In quegli anni Margarete Robsahm interpreta anche “Diciottenni al sole” di CamilIo Mastrocinque (1962), “I diavoli del Grand Prix” di Roger Corman (The Young Racers, 1963), “Danza macabra”, un morboso horror di Antonio Margheriti (1964) in cui era affianco a Barbara Steele nei panni di Julia, e, nello stesso anno, “Oltraggio al pudore” di Silvio Amadio. Sposatasi a Tognazzi nel dicembre dell 1963, imerrompe la sua carriera di attrice quando è in artesa di Thomas, per riprenderla in Norvegia nel ’72 (dove è tornata dopo il divorzio da Tognazzi), imerpretando “Fem dogn i august” assieme al figlio Thomas. Nella seconda metà degli anni ’70 si dedica all’artività di sceneggiatrice e nell’88 esordisce nella regia firmando, su sua stessa sceneggiatura, “Begynnelsen pa en historie”.